DOCUMENTO CONGRESSUALE APPROVATO

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“Diritti dei Minori o Diritti minori? “

Il CGD[…..] promuove nella famiglia, nella scuola, e nella società il pieno diritto  delle bambine e dei bambini, delle adolescenti e degli adolescenti ad essere considerati persona, a crescere in piena autonomia salute e dignità [….]. dallo statuto, art.2

Si cresce nella famiglia, nella scuola, nella società: per tale motivo le argomentazioni  che seguono  e che sono la base del dibattito del XIII Congresso del CGD sono strettamente connesse in un unico documento, come strettamente connesso è l’esercizio, la pratica, l’attuazione dei diritti dei minori.

La povertà educativa

I dati degli ultimi anni, raccolti da organizzazioni Internazionali come Unicef e OCSE,  ci dicono che l’Italia è agli ultimi posti tra i Paesi Europei riguardo al riconoscimento e all’ esercizio dei diritti  delle bambine e dei bambini; il Gruppo CRC (Gruppo di Lavoro per la Convenzione dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza), del quale il CGD fa parte, nell’8°  rapporto (2014) sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sottolinea e dettaglia questa situazione, chiedendo urgenti interventi che superino le misure emergenziali e segnino una tangibile inversione di tendenza. Anche l’ultima relazione del Garante per l’Infanzia ed adolescenza (aprile 2015) denuncia una costante disattenzione della politica italiana sui temi e programmi rivolti ai bambini/e e ai  ragazzi/e.

Il CGD è stato da sempre un osservatorio attento sul mondo dei  minori mettendo , in 30 anni e più di attività, al primo posto la difesa dei loro diritti.

Affrontando il tema dei diritti e dei diritti negati, non si può non mettere in evidenza il denominatore comune: la povertà e le sue varie declinazioni. Dal rapporto del CRC emerge il  drammatico incremento dei bambini italiani  sotto la soglia di povertà: da 1 milione a 1 milione e 400.00, solo nell’ultimo anno.

Quando parliamo di povertà pensiamo solitamente a quella economica, acutizzata dalla crisi, ma va valutata anche quella sociale, culturale ed educativa che ne sono una inevitabile conseguenza.

Per povertà educativa si intende la privazione per i bambini e gli adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni. Per un bambino, povertà educativa significa essere escluso dall’acquisizione delle competenze necessarie per vivere in un mondo caratterizzato dalla economia della conoscenza, dalla rapidità, dalla innovazione. Allo stesso tempo, povertà educativa significa anche la limitazione dell’opportunità di crescere dal punto di vista emotivo, delle relazioni con gli altri, della scoperta di se stessi e del mondo. Anche osservate da questa prospettiva, le povertà minorili in Italia raggiungono livelli allarmanti, superiori a quelli che si rilevano nella grande maggioranza dei Paesi Europei. Il CGD si impegna a diffondere la cultura dell’infanzia che metta al centro la ‘Cura’ intesa come prendersi tempo per agire una relazione positiva che si esprima in ogni momento della giornata anche  e non solo negli ”apprendimenti cognitivi”.

Senza la pretesa di essere esaustivi ecco alcuni dati che possono aiutare a capire l’entità dell’emergenza:

se è vero che quasi il 90% dei minori italiani tra i 3 e i 17 anni guarda la TV tutti i giorni, nel 2013 quasi uno su 2 (48%) non ha aperto un libro e più di uno su 4 (28%) non ha praticato alcuna attività fisica.

È inoltre indicativo che più del 60% dei bambini tra i 6 e 17 anni non abbia visitato un museo e ben il 74% non abbia fatto visita ad un monumento o ad un sito archeologico durante l’anno.

Da segnalare, oltre alla situazione di criticità che emerge dal confronto con gli altri Paesi europei, anche una situazione di forte disparità di opportunità educative interne al Paese: ben il 35,3% dei bambini del Mezzogiorno vive in condizioni di povertà relativa – con percentuali sopra la media in Sicilia (42,6%) e Puglia (37,1%) – mentre il tasso di povertà relativa tra i minori diminuisce sensibilmente al Centro (13,7%), ed al Nord (10,7%).

Nel prendere atto ,  dalla relazione del Garante per l’infanzia e l’adolescenza, che i finanziamenti del Fondo Nazionale per le Politiche  Sociali sono scesi progressivamente da 745 milioni di euro nel 2007 a 518 nel 2009 per arrivare a 278 nell’anno corrente, con grave danno sulle politiche dell’infanzia  ed adolescenza, chiederemo al Governo  di aumentare i fondi per sostenere il Piano Nazionale Infanzia per interventi a favore dei bambini/e e degli adolescenti in situazione di disagio e per garantire un welfare adeguato alle esigenze del nostro Paese.

Alla luce dei dati allarmanti che emergono da più fonti, la nostra associazione dovrà impegnarsi per promuovere iniziative ed interventi su realtà territoriali svantaggiate , dove vivono bambini e ragazzi a rischio di emarginazione sociale, prevedendo anche sinergie e collaborazioni con altre realtà associative del territorio interessato.

Un plauso va fatto agli amici del CGD di Napoli che, usufruendo della campagna nazionale “Crescere al Sud”, si stanno impegnando per la realizzazione di un “punto luce” della Campagna  ILLUMINIAMO IL FUTURO di Save The Children, che  potrà rappresentare, attraverso interessanti attività culturali e di sostegno , un luogo di  aggregazione per i ragazzi emarginati e svantaggiati di quel territorio.  Un’esperienza che auspichiamo altri CGD possano lanciare in altre realtà territoriali a rischio.

Integrazione ed inclusione passano senz’altro attraverso un processo culturale di formazione ad una cittadinanza aperta, al confronto e all’accettazione reciproca.

A proposito di diritti negati non si può non citare lo ius soli.

Il CGD ha sostenuto fin dal 2008 l’importanza del riconoscimento della cittadinanza a quei bambini/e nati/e in Italia considerandolo un gesto di civiltà e di sostegno reale ad una convivenza civile. L’approvazione del DDL sulla cittadinanza, sia pure mortificando il diritto che scaturisce dallo ius soli perché lo lega impropriamente ad un percorso di scolarizzazione, è la prima, timida risposta ad anni di appelli e petizioni.

Auspichiamo che la proposta di Legge in discussione in Parlamento trovi esito positivo rapidamente.

Sarà impegno del CGD sostenere, con ogni mezzo, la campagna per il riconoscimento di cittadinanza a quei bambini/ragazzi nati in Italia.

Sono inoltre moltissimi i bambini che fin dalla nascita non hanno a disposizione le risorse necessarie per godere delle  migliori opportunità: carenze nei servizi sanitari e socio- educativi in molte aree del Paese; mancanza di programmi di informazione e supporto per i genitori; focalizzazione eccessiva della funzione genitoriale sugli aspetti relativi alla “custodia” e all’integrità fisica, e non su quelli affettivo- relazionali; sottovalutazione delle potenzialità e dei bisogni dei bambini nei primi anni di vita.

Va ribadita l’importanza dei servizi territoriali di prevenzione come i Consultori che essendo strutture  a sostegno delle famiglie devono essere potenziate nelle figure professionali e devono essere finanziate per poter svolgere al meglio il loro compito a supporto della genitorialità responsabile con la predisposizione di momenti formativi.

Partiamo pertanto nelle nostre analisi/proposte dal primo segmento educativo che incontrano (o non incontrano) le bambine/i del nostro paese.

0-6

E’ scientificamente provato che le disuguaglianze nei percorsi educativi e lavorativi da adulti, sono imputabili in larga misura ad opportunità educative, cognitive, socio-emozionali e fisiche, che si acquisiscono – o vengono a mancare – nei primissimi anni di vita, prima dell’entrata nella scuola. La presenza di servizi per l’infanzia, nidi e servizi integrativi e scuole dell’infanzia rappresenta quindi un chiaro indicatore di opportunità educative.

Nel 2012-13 hanno usufruito di un servizio per l’infanzia solo 218.412 bambini, pari al 13,5% della popolazione sotto i tre anni: 6,5% in un nido gestito direttamente dal Comune; 5,9% in un nido gestito da privati ma convenzionato o sovvenzionato dal pubblico; 1,2% in un servizio integrativo; mentre l’1,1% riceve un contributo economico per la frequenza in un servizio privato.

La spesa per i servizi per l’infanzia, tuttora considerati servizi a domanda individuale, è a carico dei Comuni. La pressione economica e i vincoli imposti dal Patto di Stabilità inducono molte amministrazioni locali ad affidare i servizi a privati, i quali assicurano una spesa minore ma, in assenza di indicatori condivisi e di necessari meccanismi di controllo della qualità offerta, rischiano di non garantire né adeguate condizioni di lavoro del personale, né requisiti minimi strutturali e organizzativi dei servizi.

Nel 2014 non vi è stato nessun impegno dello Stato per sostenere i servizi educativi per i bambini in età 0/3 anni, se si eccettua l’intervento a sostegno delle “sezioni primavera” per bambini dai 24 ai 36 mesi, e quello, rinnovato anche per l’anno 2015, in voucher per la fruizione di servizi per l’infanzia pubblici o privati accreditati  per l’acquisto di servizi di babysitting da parte delle madri lavoratrici che ne facciano richiesta.

Si registra inoltre una grave questione “meridionale” nella distribuzione dei servizi rivolti alla prima infanzia. In generale i nidi – ancora servizi a domanda individuale – sono estremamente carenti :  disponibili per 1 bambino su 4 nel centro-nord e per meno di 1 bambino su 10 nel mezzogiorno

Nonostante numerosi progetti, manca ancora una rilevazione unificata dei dati relativi a tutti i contesti educativi dei bambini sotto i sei anni. Sono ancora poche le città in cui si attivano procedure unificate di iscrizione alle scuole dell’infanzia statali e comunali; scambi professionali qualificati e iniziative di formazione in servizio comuni tra le insegnanti e/o le educatrici delle scuole statali, comunali e private; iniziative di coordinamento pedagogico territoriale unificato per tutto il sistema di servizi educativi 0/6 pubblici. Siamo ben lontani da  quanto la Commissione europea stabilisce nella definizione della strategia per il 2020 in cui oltre a definire la soglia del 33% di inserimento dei bambini nelle strutture educative 0-3 ci chiede di garantire a tutti servizi di “alta” ed “elevata” qualità.

Il CGD da sempre sostiene l’esigenza e la necessità di una rete di servizi integrati territoriali, che metta a sistema tutte le realtà coinvolte partendo dai primi anni di vita.

L’adozione di una legge di tutto il settore educativo nella fascia di età 0/6 ,  che definisca i Livelli essenziali quantitativi e qualitativi ed è attualmente inserita tra le deleghe della Legge 107, assume pertanto particolare carattere d’urgenza in un momento di crisi economica che si ripercuote drammaticamente sia sulle risorse delle famiglie sia sulla capacità degli enti gestori di garantire un’offerta educativa di qualità.

I principi che abbiamo sostenuto, anche nell’essere stati promotori della Legge di Iniziativa Popolare 0-6 del 2007, rimangono validi anche oggi; è infatti necessario che la legge garantisca:

  • l’accesso universale a servizi di educazione e di cura inclusivi e di qualità
  • la generalizzazione quantitativa e qualitativa dell’educazione prescolare su tutto il territorio nazionale
  • definizione del nido come servizio di interesse generale per tutti i bambini/e
  • la partecipazione delle famiglie negli organismi di gestione dei servizi
  • l’identificazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale

Inoltre, visto il sempre più consistente ricorso a strutture non statali per l’erogazione dei servizi, è necessario indicare con chiarezza che i LEP (livelli essenziali delle prestazioni)devono essere considerati requisiti indispensabili per l’accreditamento dei servizi e per il riconoscimento della parità delle scuole dell’infanzia non statali.

Esprimiamo perplessità e preoccupazioni rispetto alla scelta di affidare ad una delega governativa l’impianto normativo sulla riorganizzazione dei servizi per l’infanzia in quanto la mancata attribuzione di fondi destinati, così come disposto dalla Legge 107 comma 185, delinea l’impossibilità di garantire l’attuazione delle disposizioni che saranno previste nell’impianto normativo sullo 0-6.

Finora le politiche per l’infanzia, in Italia, pur se inserite nell’ambito delle politiche sociali, non hanno avuto uguali opportunità di sviluppo sul territorio nazionale né il supporto di un’azione coordinata e continuativa dal centro; ciò ha determinato effetti diversificati legati alle scelte dei Comuni e delle Regioni piuttosto che dello Stato.

In sintesi sarà necessario che la legge di riforma preveda :

  • che il nido d’infanzia e i servizi educativi 0-6 non siano più “servizio a domanda individuale” e che il suo accesso sia diritto riconosciuto a tutti i bambini e bambine e venga inserito nel sistema educazione e istruzione;
  • una adeguata professionalità e formazione permanente ed in itinere  del personale operante nei servizi per l’infanzia;
  • una condivisione, da parte degli operatori/educatori/insegnanti/pedagogisti, genitori del progetto educativo, per avere  quella coerenza educativa necessaria per la crescita armoniosa delle bambine e dei bambini;
  • Indicatori chiari per governare il sistema integrato pubblico privato 0-6
  • livelli essenziali quantitativi e qualitativi delle prestazioni , requisiti strutturali ed organizzativi
  • Procedure di autorizzazione, accreditamento, valutazione e controllo sulla qualità dei servizi erogati
  • Previsione di meccanismi di finanziamento nazionale perequativi atti a garantire l’accesso ai servizi per tutte le famiglie superando in questo modo le eventuali differenze esistenti da Comune a Comune per quanto riguarda l’importo delle rette
  • Individuazione di una figura istituzionale (ad esempio Garante per l’Infanzia) che abbia competenza di controllo e sanzionatoria nei confronti degli enti inadempienti sulla costituzione di nidi d’infanzia a seguito di fondi ad essa dedicati

 

Il CGD chiede che il Governo consenta deroghe al patto di stabilità per gli enti pubblici che investono sull’infanzia , che  il prossimo Piano Nazionale Infanzia dedichi speciale attenzione ai primi anni di vita del bambino, che vengano realizzate politiche adeguate per superare il divario territoriale nell’offerta educativa e di costruire un qualificato sistema integrato per l’infanzia e l’adolescenza, impegnando adeguati e stabili investimenti finanziari  introducendo un meccanismo permanente di monitoraggio della spesa e della qualità dei servizi offerti (bilancio sociale).

 

Dispersione scolastica – Diritto allo studio

Connesso al tema appena trattato è quello della dispersione scolastica. La dispersione, infatti, si contrasta a partire dai primissimi anni di età, essendo ormai acquisito che coloro che non hanno frequentato la scuola dell’infanzia hanno maggiori probabilità di non continuare proficuamente gli studi superiori.

Nel mondo della scuola l’Italia si caratterizza per un alto tasso di dispersione.

Oggi ben il 17% dei giovani tra i 18 e i 24 anni non consegue il diploma superiore e lascia prematuramente ogni percorso di formazione, un dato di gran lunga superiore alla media europea (12%) e ben lontano dal target del 10% fissato dall’Unione Europea per il 2020. Nella speciale classifica Early School Leavers L’Italia si piazza al quartultimo posto.

Anche il livello di competenze raggiunto dagli alunni quindicenni italiani in matematica, scienze e lettura – misurato attraverso i test PISA – è tra i più bassi nei paesi Ocse, nonostante il timido miglioramento degli ultimi anni. D’altra parte, diversi studi dimostrano come in Italia la provenienza famigliare eserciti ancora un peso molto forte sul curriculum scolastico, senza che la scuola riesca a controbilanciarne gli effetti. Il Rapporto Annuale ISTAT del 2012 conferma che il completamento del ciclo d’istruzione secondaria, così come l’accesso all’Università, sono positivamente correlati alla classe sociale, misurata in termini di risorse economiche, potere ed influenza, grado di istruzione, condizione occupazionale dei genitori, provenienza geografica.

Non si può parlare di “diritto allo studio” senza fare riferimento alla Legge 107 approvata definitivamente a Luglio, il cui iter ha visto il CGD, insieme ad altre 32 associazioni, fare proposte di modifica che andavano nell’ottica del confronto per possibili emendamenti e che avremmo voluto trovassero un ascolto reale nei tempi e nei modi necessari. La legge approvata, sia pur diversa dalla prima proposta arrivata in Parlamento, non rappresenta la nostra idea di “Buona Scuola”. Molti problemi restano senza soluzione, o sono rimandati alle deleghe governative della legge stessa, lasciando viva la preoccupazione che anche su questi argomenti si usino metodi poco rispettosi dell’opinione, dell’esperienza, della sperimentazione di chi da anni porta avanti un’idea di scuola intesa come scuola pubblica cooperativa e democratica, vicina ai bisogni dei ragazzi e capace di riconoscere il valore e le potenzialità di ciascuno.

La scuola italiana è arrivata stremata alla discussione del DDL, segnata da anni di tagli indiscriminati di risorse, economiche e professionali. Ormai da anni le famiglie sono costrette a farsi carico di oneri economici che incrementano  inevitabilmente le  disparità tra i ceti sociali a cui i ragazzi appartengono.

L’eliminazione delle compresenze, la diminuzione del tempo scuola, la marginalizzazione dei percorsi professionalizzanti, volute dalla Gelmini hanno delineato uno scenario che costituisce terreno fertile, da una parte,  per la dispersione scolastica, che colpisce ancora una volta i ragazzi in situazioni di disagio o con difficoltà di inserimento ed inclusione, e dall’altra per l’abbassamento della qualità della scuola italiana.

Quindi qualsiasi riforma, per chiamarsi tale, dovrebbe porsi come obiettivo prioritario, oltre a quello di recuperare i ritardi rispetto agli Stati Europei, anche la capacità di superare le disuguaglianze sociali  rimettendo al centro la necessità di offrire pari opportunità nell’accesso ai saperi e alla conoscenza, valorizzando le differenze individuali e collegando la scuola alle esperienze di vita e professionali che ciascun ragazzo si troverà ad affrontare.

Stranieri,  nomadi e diversamente abili ( anche se con percentuali molto differenziate) sono le categorie a più alto rischio di dispersione. Integrazione ed inclusione, come già affermato,  passano senz’altro attraverso un processo culturale di formazione ad una cittadinanza aperta al confronto e all’accettazione reciproca. E sono proprio i progetti rivolti a queste tipologie di studenti che sono stati i più penalizzati dai tagli degli ultimi anni.

 

Non crediamo che le risorse e le possibilità espresse dalla Legge 107/2015 siano in grado di incidere positivamente su questa situazione sapendo che qualsiasi progetto ipotizzato dai Piani dell’offerta formativa triennali dovrà essere ‘a costo zero’, senza risorse aggiuntive. Inoltre, anche in presenza di progetti finanziati tramite bandi nazionali, sottolineiamo che di norma le scadenze di questi ultimi sono sempre troppo ravvicinate e ciò penalizza la partecipazione di molte istituzioni scolastiche. Per ovviare a  questo i bandi dovrebbero uscire con adeguato anticipo, ad esempio tra maggio e giugno dell’anno scolastico precedente, anche per permettere una adeguata progettazione.  Il sistema dei bandi rischia comunque di vedere esclusi i progetti delle scuole che più ne avrebbero bisogno.

Sempre in termini di risorse, questa volta umane, accogliamo con favore l’assunzione del personale precario della scuola normato dalla legge 107/2015, tuttavia ribadiamo che le modalità di reclutamento previste porteranno nei prossimi due anni ad un aumento della mobilità dei docenti a scapito della continuità didattica e dei progetti.

Inoltre a fronte dell’elevato numero di reggenze, ribadiamo l’urgenza di assumere un adeguato numero di dirigenti scolastici, che possa non solo coprire le attuali necessità ma anche quelle future o contigenti (organico potenziato dei dirigenti per far fronte a pensionamenti, mobilità, distacchi).

 

La legge 107 del 2015 è stata presentata come la riforma epocale del sistema d’istruzione nazionale, che doveva raccogliere le speranze di intere generazioni ha disegnato invece una scuola che rischia di andare in un’altra direzione: accentramento eccessivo di poteri sul preside manager, scuola ipercognitiva, che punta ad ottenere prestazioni standard, ad addestrare al mercato e non al mondo del lavoro;  accentuazione delle cause di una sostanziale diseguaglianza attraverso sostegni alle scuole da parte di privati senza un adeguato intervento perequativo dello Stato, mancati finanziamenti per il diritto allo studio, mobilità degli insegnanti che può prefigurare scuole di I° e II° categoria. Dai  risultati delle indagini internazionali emerge una scuola italiana tra le più diseguali d’Europa, con il rendimento degli studenti legato non tanto al merito individuale quanto al contesto socio-economico del  territorio e alle scelte dello specifico istituto.

Non possiamo altresì non sottolineare che incentivare ulteriormente i finanziamenti alle scuole private paritarie, attraverso bonus che si spingono oltre la scuola dell’obbligo, ci  risulta inaccettabile alla luce della situazione in cui le scuole pubbliche versano, prive di fondi e sostenute principalmente dai contributi solo formalmente  volontari dei genitori.

A questo proposito va evidenziato che la dotazione libraria cui provvedono Comuni e Regioni per i meno abbienti arriva alle famiglie sempre più tardi, ad anno scolastico iniziato.

I fondi del diritto allo studio molto spesso non tengono conto del costo dei trasporti, ciò ha una duplice conseguenza: mancato aiuto alle famiglie e ricaduta negativa  sull’organizzazione oraria e quindi didattica delle scuole, dettata dalle esigenze di contenimento dei costi degli enti pubblici.

Qualsiasi riforma del sistema d’istruzione dovrebbe porsi come obbiettivo prioritario la capacità di superare proprio le disuguaglianze sociali  rimettendo al centro la necessità di offrire pari opportunità, valorizzando le differenze individuali e collegando la scuola alle esperienze di vita e professionali che ciascun ragazzo si troverà ad affrontare.

Il rischio reale è che le scuole saranno costrette ad utilizzare le eventuali e poche risorse umane in più per le supplenze a discapito dei progetti che si potrebbero attivare contro la dispersione scolastica.

Crediamo comunque che sarà fondamentale esserci come genitori, come CGD, nelle scuole, quando si discuterà di POF triennale, quando si discuterà del RAV e dei piani di miglioramento da fare sulla base dei punti di debolezza indicati da ciascuna scuola e a livello politico-istituzionale quando inizierà la discussione sulle deleghe. A tal proposito sarà fondamentale far circolare le buone pratiche dei singoli istituti per la compilazione del RAV (rapporto di autovalutazione) stesso, onde evitare che ancora una volta si ripropongano profonde disparità tra scuola e scuola.

Sarà ad ogni livello importante rivedere e potenziare il ruolo dell’orientamento, troppo spesso inteso come mera enunciazione delle diverse possibilità che i ragazzi hanno di fronte al termine di un ciclo di studi.

La scuola di ogni ordine grado dovrebbe essere per antonomasia il luogo dell’orientamento, in cui ciascun ragazzo diventa consapevole dei propri punti di forza e debolezza, e delle strade da percorrere, sostenuto dal mondo degli adulti che lo circonda per trovare il proprio posto nel mondo. Per fare ciò occorre sviluppare in ogni studente le capacità di auto-orientarsi, testando le proprie competenze rispetto alle opportunità possibili.

A tal proposito ci sembra opportuno attirare l’attenzione anche su una importante novità introdotta dalla legge 107/2015: l’alternanza scuola lavoro nel triennio della scuola secondaria di secondo grado. Essa deve essere vista come momento formativo dello studente per capire come collocare le proprie competenze nel mondo del lavoro (relazioni- organizzazione- pianificazione…).

Ciò sarà possibile se sarà preceduta da un’adeguata formazione del personale docente, se verrà introdotta con gradualità e se sarà permesso alle scuole di applicarla con flessibilità nella fase iniziale, soprattutto in considerazione del fatto che per i licei si tratta di un’innovazione, che, ci auguriamo, avrà un forte impatto sulla didattica.

Anche in questo ambito riteniamo fondamentale individuare e condividere buone pratiche da mettere a sistema.

Negli ultimi anni abbiamo assistito, nonostante l’impegno di una parte del mondo della scuola, ad una involuzione del sistema scolastico inteso come luogo dell’inclusione e del superamento delle disuguaglianze sociali; ormai le nostre scuole in molti casi possono essere considerate come ‘votifici’ in cui si spiega, si interroga, si fanno le medie matematiche di voti… non è questa la scuola che abbiamo promosso e difeso in tutti questi anni.

Ribadiamo con forza la richiesta dell’abolizione del voto numerico almeno nella scuola dell’obbligo, voto che, sotto l’aspetto di un’apparente semplificazione, classifica, esclude, gerarchizza i ragazzi , vanifica la pedagogia della cooperazione e della crescita.

 Il voto deve essere visto come uno degli strumenti che concorrono alla formulazione di un giudizio sullo studente, un indicatore quantitativo e qualitativo che solo insieme ad altri indicatori condivisi e progettati concorre ad una valutazione formativa dei saperi e delle competenze, che accolga e valorizzi anche l’autovalutazione dello studente stesso.

Il voto blocca la legittima necessità di attraversare l’errore per costruire apprendimento e competenze. Occorre puntare sui modelli di valutazione evolutiva capaci di rilevare i progressi degli alunni e non la loro performance assoluta come se la scuola fosse una gara e non un luogo dove si va per imparare.

Siamo ancora in attesa dell’anagrafe degli studenti, regionale e nazionale, integrata con i dati della formazione professionale. Sono dati da cui non si può prescindere per affrontare in modo serio il tema del diritto allo studio e della dispersione scolastica.

Abbiamo sempre creduto nella scuola dell’autonomia, ma adesso più che mai diventa indispensabile che a livello nazionale si proceda a definire degli indicatori per la certificazione delle competenze, in modo da orientare l’attività didattica delle scuole nei diversi territori e cercare di contrastare con opportune azioni di sostegno le situazioni più svantaggiate.

Appare pertanto non più rinviabile il riordino dei cicli; è sempre più urgente rimettere mano ad un’organizzazione dei percorsi che mostra in modo evidente tutti i suoi limiti, primo tra tutti l’incongruenza tra un percorso dell’obbligo (diritto/dovere) che termina a 16 anni e l’esame di stato della scuola secondaria di primo grado a 14 anni.

Riproponiamo quanto da anni abbiamo sostenuto:

  • Obbligatorietà dell’ultimo anno della scuola d’infanzia (senza nessuna velleità di snaturare il percorso pedagogico- didattico della scuola d’infanzia stessa);
  • un percorso di scuola primaria di almeno sette anni, senza discontinuità tra scuola primaria e secondaria di I° grado;
  • un biennio unitario, formativo ad espletamento dell’attuale obbligo scolastico;
  • un triennio finale;

Per contrastare efficacemente la dispersione è necessario sviluppare un quadro di azioni parallele che convergono essenzialmente sul primo biennio della scuola secondaria. Il sistema della scuola secondaria di II° grado è organizzato a canne d’organo in segmenti che non dialogano tra di loro e non sono integrati. Gli interventi normativi della Gelmini hanno irrigidito i modelli e non permettono ai nostri ragazzi alcun passaggio da un indirizzo all’altro.

Crediamo che sia necessaria una decisa azione di contenimento delle bocciature, anticamera dell’abbandono. Contrasto da attuare nei primi due anni della scuola secondaria di secondo grado.

Riteniamo si debba passare nel primo biennio ad una valutazione biennale anziché annuale, puntando a garantire una soglia di equivalenza, di abilità e conoscenza a tutti gli studenti dei licei, dei tecnici, dei professionali, della formazione professionale (prevedendo la bocciatura nel primo anno di corso solo come evento eccezionale).

 Organi collegiali, partecipazione dei genitori, valutazione di sistema

Il Cgd ha sempre portato avanti con convinzione l’opinione che l’autonomia scolastica dovesse rappresentare un reale strumento di democratizzazione della scuola perché può attivare un reale decentramento dei livelli decisionali  e una reale partecipazione di tutte le  componenti; in questo modo la scuola può a pieno rappresentare  una comunità che si auto-governa, dove tutti sono soggetti attivi del processo educativo, e può  rispondere adeguatamente alle nuove esigenze della società odierna, così multiforme e diseguale.

 

Da più parti, negli ultimi anni, si è purtroppo registrata la scarsa partecipazione dei genitori e degli studenti negli OOCC.

 

Il CGD ha affrontato più volte l’argomento della necessità di revisione di questo istituto, ritenuto fondamentale, ponendo l’accento su una serie di indispensabili integrazioni e rafforzamenti di questo strumento di partecipazione democratica.

 

Tuttavia appare imprescindibile sottolineare che nessuno degli ambiti, che riguardano le autonomie scolastiche nel loro insieme, può essere affrontato in modo scollegato dagli altri.

Governance, OOCC, rapporti istituzionali, finanziamenti, rapporto pubblico/privato, valutazione di sistema, fanno parte tutti di un unico sistema macro. È necessario ed urgente  modernizzare e rendere reale ed  efficace il percorso incompiuto dell’autonomia scolastica, attraverso una partecipazione condivisa e paritetica di tutte le sue componenti, in tutte le necessarie declinazioni.

 

Nell’affrontare il tema del potenziamento della partecipazione dei genitori occorre fare attenzione a non cedere alla tentazione di aprire ad un loro coinvolgimento senza regole nella vita delle scuole; ciò può apparire come un’apertura notevole ma rischia, al contrario, di diventare una limitazione di fatto della democrazia rappresentativa nelle scuole.

Si afferma questo senza nulla togliere all’importanza del volontariato , ma si è  consapevoli che esso non può sostituire la “rappresentanza elettiva” che può e deve fare gli interessi dell’intera collettività.

 

Compito del CGD è proprio quello di far percepire come indispensabile questo istituto potenziandone, casomai, i livelli partecipativi e collegandolo più strettamente alla vita del territorio.

Le leggi che hanno riguardato il comparto scolastico negli ultimi decenni rendono indispensabile rafforzare i livelli rappresentativi di genitori e studenti, mettendoli in comunicazione tra loro e con i territori di appartenenza, affinché in quei tavoli,  in cui le istanze possono essere discusse ed è possibile incidere fattivamente sulla vita della scuola, si possa arrivare ad una valutazione ampia, di rete, condivisa democraticamente e forte di un’elaborazione complessa.

Dunque non si tratta di ridurre il numero degli istituti interni agli organi collegiali ma, casomai, di renderli normativamente istituiti e più efficaci.

 

All’interno delle scuole questo aspetto riguarda sicuramente i Comitati Genitori, che devono essere obbligatori e avere il loro naturale avvio, la relativa dignità  e peso decisionale all’indomani dell’elezione dei rappresentanti di classe.

Il potenziamento e il collegamento tra il comitato genitori e la rappresentanza dei genitori nei Consigli di Istituto che ne deriverebbe renderebbe molto più efficace l’azione della componente genitoriale.

 

Risulta poi indispensabile riaffermare e potenziare la necessità, sempre sostenuta dal CGD, della costituzione di Organi collegiali territoriali, che possano interfacciarsi col territorio, le sue istituzioni, il terzo settore, e che siano in grado di guidare e controllare i processi di integrazione tra scuola così come la legge 107, da ultima, sancisce e potenzia.

 

Se dunque si immagina la scuola come  elemento centrale di  un territorio e ad essa si legano e si collegano percorsi pedagogici, didattici, culturali, organizzativi per gli studenti e per i cittadini che lì vivono, non si può scindere la questione della governance da quella della rappresentatività e, più ancora, della corresponsabilità educativa tra tutte le componenti del territorio.

 

Il monitoraggio naturale di un percorso partecipato e trasparente così delineato, non può che avere il suo naturale riscontro nel bilancio sociale, istituto da sempre auspicato e sostenuto dal CGD e previsto ora dalla Circolare Ministeriale sulla Autovalutazione.

 

La vera natura della corresponsabilità educativa si delinea con chiarezza esaminando vari elementi:

  • il parere dei genitori fondamentale nella stesura del POF (ora PTOF)
  • il sostegno economico attraverso il loro contributo volontario (istituto odioso ma inevitabilmente praticato in una scuola sull’orlo del collasso)
  • l’azione collettiva delle componenti scolastiche nel loro insieme, dirimente nella scelta dell’indirizzo di politica scolastica e dei partner istituzionali e non

il sostegno forte al concetto di pubblico e di Stato indispensabile per garantire pari opportunità a tutti.

Il CGD, nel dibattito che ha preceduto l’approvazione della legge 107, ha sostenuto con forza, chiarezza e coerenza, la necessità di delineare centralmente le competenze spettanti ai comitati di valutazione; ha rivendicato il ruolo di attore da parte dei genitori esclusivamente nella stesura dei criteri basati su  equità, trasparenza e perequazione, necessari per delineare una linea chiara all’interno della quale il Dirigente scolastico dovrebbe muoversi nel compiere le sue valutazioni di merito verso i docenti. Si conferma la contrarietà del CGD a sottrarre alla contrattazione nazionale la premialità economica dei docenti.

 

L’istituzione scolastica ha comunque assoluto bisogno di essere valutata. Ma l’elemento centrale è cosa si vuole valutare e quale scuola si immagina efficiente, rispondente alle esigenze pedagogiche, didattiche e di orientamento. Il CGD auspica una scuola che prepari le persone alla vita attraverso la consapevolezza di se stesse, delle proprie competenze, inclinazioni e, conseguentemente, le accompagni verso il proprio successo personale e professionale. In tal senso occorre valutare il raggiungimento degli obiettivi di cui sopra attraverso la percezione e il risultato che studenti e studentesse restituiscono in termini di soddisfazione formativa, ben lontana dai parametri “valutati” dal sistema INVALSI, istituto di valutazione parziale e costosissimo.

 

Il CGD auspica che sia attivato un sistema di valutazione efficiente che consideri l’INVALSI solo uno degli strumenti da attivare; esso deve essere perfezionato e non può essere utilizzato per la valutazione numerica degli studenti e pertanto si chiede che il test effettuato nell’ultimo anno della secondaria di primo grado non concorra alla valutazione finale.

 

La valutazione deve tenere all’interno TUTTO il sistema, dal Dirigente Scolastico a quello dei Servizi Generali Amministrativi, dai docenti al personale ATA, dagli USR al Ministero.

 

Si può dunque osservare che gli ambiti esaminati, OOCC, governance, finanziamenti, rapporti tra pubblico e privato e valutazione di sistema, sono strettamente collegati  attraverso un comune denominatore: l’indispensabile inclusione dei genitori e degli studenti nel processo definibile come un unico insieme. Una partecipazione vista ancora come ostile o “pericolosa” da una scuola ancora troppo autoreferenziale che tuttavia non riesce più a farcela senza cedere “sovranità”.

 

Gli organi collegiali sono titolari del governo della scuola, delineano le scelte delle politiche scolastiche  , dei suoi partner anche territoriali ed eventuali  sostenitori finanziari. Gli organi collegiali devono  altresì far valere il loro peso e la loro rilevanza a sostegno dell’istituzione scolastica nei processi di interconnessione col territorio, le sue istituzioni e i soggetti che ad esso appartengono. Dovrà cogliere le opportunità utili al rafforzamento dell’offerta culturale e formativa e contribuire a  metterle a sistema in un unicum armonico che offra e rafforzi la consapevolezza di appartenenza.

A questo riguardo dobbiamo rilevare l’assoluta contraddizione tra il modello manageriale-aziendalistico del Dirigente Scolastico previsto dalla legge 107/2015, che rifiutiamo, rispetto alla funzione democratica di questo ruolo, prevista dagli organi collegiali

 

la corresponsabilità educativa che occorre perseguire, difendere, sostenere.

 

Questo è il percorso per cui il CGD si impegna.

 

 

INFANZIA –  ADOLESCENZA – FAMIGLIE

EVOLUZIONI E CAMBIAMENTI

 

Non possiamo ignorare, nel campo dei diritti sanciti ed anche negati, tutta la sfera riguardante il rispetto delle differenze di genere, alla luce anche della campagna contro una ipotetica e inesistente teoria del gender.  Una campagna orchestrata ad arte e capillarmente pervasiva che ha monopolizzato il dibattito educativo giocando abilmente su ancestrali timori dei genitori e che è riuscita a ritardare di quasi un anno, con sterili polemiche, anche l’emanazione di semplici circolari ministeriali come quella sul contrasto al bullismo e al cyberbullismo.

La lotta senza quartiere all’applicazione di leggi dello Stato italiano ( la legge 15 ottobre 2013, n. 119, quella che comunemente conosciamo come legge sul femminicidio e al comma 16 della legge 107, che ne è l’applicazione) ci mostra come non possiamo abbassare la guardia rispetto a conquiste che sembravano consolidate. Dopo varie sollecitazioni, anche da parte della nostra associazione, il Ministero dell’Istruzione ha preso posizione su questa controversa questione, smentendo l’esistenza di questa fantomatica teoria del “GENDER” e affermando che “nell’ambito delle competenze che gli alunni devono acquisire, fondamentale aspetto riveste l’educazione alla lotta ad ogni tipo di discriminazione, e la promozione ad ogni livello del rispetto della persona e delle differenze senza alcuna discriminazione.”

Inoltre “pone all’attenzione delle scuole la necessità di favorire l’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere”.

Nella circolare viene  anche espressamente citato l’orientamento sessuale tra le discriminazioni richiamate dalle norme comunitarie che devono trovare applicazione nella scuola italiana.

La discriminazione basata su orientamenti sessuali è proibita in tutta la Comunità europea e dalla nostra Costituzione; ciò nonostante ancora oggi assistiamo in Italia ad assurdi pregiudizi verso chi difende il diritto ad esprimere in libertà il proprio orientamento sessuale.

Nelle società democratiche si raggiunge una qualche misura di uguaglianza tra uomini e donne  se uomini e donne sviluppano  le proprie capacità e interessi senza essere confinati nella propria, reciproca differenza sessuale ed insieme essere più liberi di vivere quella differenza. La cultura, l’incessante opera di costruzione sociale che è la caratteristica del vivere umano, è diventata più riflessiva e aperta anche su questo fondamentale aspetto dell’umanità, la differenza sessuale, come univoco e immodificabile destino.

Per chi appiattisce le potenzialità e varietà degli esseri umani alla dicotomia della differenza degli organi sessuali e dell’apparato genitale, l’omosessualità appare mostruosa, letteralmente, sia sul piano della natura sia su quello sociale. Ma altrettanto, se non mostruoso, pericoloso appare ogni comportamento di uomini e donne che smentisce l’ovvietà degli stereotipi. Mentre si agita lo spettro della «colonizzazione da parte di una teoria del genere che mira alla creazione di un transumano», si testimonia il persistere di teorie e pratiche che, in nome della natura, vogliono costringere uomini e donne nella corazza di ruoli e destini anche affettivi  rigidi e asimmetrici, riduttivi della ricchezza, varietà e potenzialità degli esseri umani.

Non è questo che vogliamo per noi stessi e per i nostri figli e figlie.

Le trasformazioni sociali e culturali degli ultimi anni avrebbero dovuto cambiare la nostra società avviandola verso una maggiore consapevolezza e libertà su questo tema ; non è stato così.

Per questo va contrastata ogni forma di discriminazione omofobica che crea conflitto sociale , emarginazione ed esclusione.

In molte circostanze e in tutta Italia atteggiamenti di questo tipo hanno creato  problemi e danni: violenza e odio hanno seminato dolore e portato la vittima a gesti  anche estremi.

 

Bisogna riaffermare con forza il nostro ordinamento laico, democratico e rispettoso di scelte e orientamenti individuali. Difendiamo la scuola pubblica e sosteniamo tutte le attività che in essa vengono svolte per prevenire e contrastare ogni discriminazioni di genere, bullismo e omofobia.

Se veramente vogliamo il bene dei ragazzi e delle ragazze insegniamo loro a rispettare i diritti di tutti e  libertà di ciascuno.

 

E in questo sia i genitori che la scuola possono svolgere un ruolo importante: la corresponsabilità educativa tra famiglia e scuola va intesa anche come occasione preziosa per motivare gli alunni alla ricerca del bene comune.

 

Ai genitori e agli insegnanti spetta prendere in considerazione il fatto che la scuola va diventando sempre più, anche sotto l’aspetto dello spazio fisico e della organizzazione interna, un luogo in cui non sono attivati soltanto processi di trasmissione culturale ma anche di educazione, relazionalità, di formazione in senso ampio.

 

Si pensi ai valori della libertà, dell’uguaglianza, della pari dignità, del bene comune, della solidarietà, della partecipazione. Questo modo di procedere può giovarsi anche della situazione di multiculturalità in cui versa la scuola e che negli anni a venire sempre più la contrassegnerà. Il confronto con culture “altre” per la ricerca di valori comuni, insieme all’avvaloramento di quel sapere familiare “altro”, può rappresentare lo strumento per volgersi alla costruzione di un nuovo modo di essere scuola e di una nuova professionalità docente.

 

D’altra parte risulta essenziale esaminare anche i processi di trasformazione delle famiglie, processi inarrestabili ed ineluttabili , per capire il contesto in cui si inserisce ogni tipo di rapporto sociale.

 

Assistiamo oggi alla costituzione di svariati modelli di famiglie, non esiste più uno standard unico indipendentemente da come questi nuclei familiari nascano. La consapevolezza che dovrebbe accomunare tutti è che una famiglia nasce dall’amore, dalla responsabilità e dal rispetto e certamente non solo da riconoscimenti formali.

 

Già da alcuni anni il CGD non usa più il termine “famiglia” ma necessariamente “famiglie” per indicare e comprendere le molteplici diversità, tipologie e situazioni.

 

Le famiglie hanno subito trasformazioni estese nell’ultimo mezzo secolo, passando dalla famiglia patriarcale a quella “nucleare”, modello tradizionalmente “chiuso”, cui è seguito un modello, quello attuale, più ampio e soprattutto in continuo cambiamento. Alla famiglia triadica genitori-figli si sono affiancate (non rappresentando più soltanto un’eccezione) nuove forme familiari: famiglie monogenitoriali composte da un solo genitore con uno o più figli; famiglie ricostituite non coniugate, famiglie straniere, famiglie omoaffettive , famiglie affidatarie, famiglie adottive, famiglie di fatto , aperte o allargate.

Secondo l’Istat sono circa mezzo milione le famiglie “allargate” in Italia, intendendo con questo termine coppie in cui almeno uno dei due partner ha alle spalle un precedente matrimonio o una separazione. La famiglia allargata instaura una serie di relazioni multiple che vanno ad aggiungersi a quelle biologiche: rapporto fra nuovo partner e figli del precedente, rapporto tra figli di precedente e di nuova unione, rapporto fra attuale coppia ed ex coniuge (o partner), rapporto dell’adulto e dei propri figli con i genitori del nuovo partner.. Il coesistere di genitori biologici e genitori “sociali” pone anche delicati problemi di ordine giuridico, in merito alle responsabilità (ma anche alla tutela) dei secondi (vedi Nota MIUR prot. 5336 del 2/09/2015).

In questo contesto non dimentichiamo quanto sia importante che i genitori che si separano adottino comportamenti equilibrati e condivisi nei confronti dei figli . Non si deve mai dimenticare che in queste circostanze la serenità dei minori vada posta al primo piano, aldilà delle motivazioni che possano giustificare le scelte dei singoli genitori. I loro diritti prima di ogni cosa.

La stessa preoccupazione nasce nei confronti dei bambini e bambine delle “famiglie arcobaleno” che hanno, il diritto di vivere serenamente la loro infanzia e adolescenza, senza alcuna discriminazione. Invece sono bambini non protetti già dal loro certificato di nascita : tutele dimezzate e  ancora una volta negazione di un diritto.

Per quanto riguarda le famiglie straniere accanto al disagio della lingua e dell’alloggio hanno anche quello di gestire il passaggio dai modelli famigliari dei loro Paesi di origine alla costituzione di nuclei secondo i modelli del Paese di accoglienza.

 

Si constata anche che le famiglie sono una costruzione sociale, che cambia e si trasforma in base alle dinamiche delle persone, ai mutamenti economici e giuridici, allo stile di vita che viene instaurato nei rapporti all’interno della coppia e all’esterno verso i figli e il mondo.

 

Con le evoluzioni culturali ed economiche della società, le famiglie in Italia hanno imparato nel corso dei decenni a sostenere in maniere diverse i figli nella costruzione del loro futuro.
Nel passaggio dalla famiglia patriarcale di origine contadina a quella moderna, i figli non sono più considerati principalmente come forza-lavoro, ma diventano oggetto di attenzioni sui quali investire risorse per la loro realizzazione. Negli anni Ottanta e nei successivi anni Novanta la famiglia, amplia ulteriormente il proprio reddito anche a vantaggio dei figli.

La crisi del welfare statale spinge però le famiglie a rivedere alcune modalità della gestione della propria funzione economica, legata al benessere futuro dei figli: cresce l’investimento privato finalizzato all’integrazione dell’offerta pubblica, avvertita non sempre di sufficiente qualità o poco tempestiva nella soddisfazione delle esigenze familiari. La famiglia è chiamata a fare da rete di protezione dei figli.

Dagli anni Duemila serpeggia ancor più l’insicurezza del futuro: l’approccio agli investimenti si fa più cauto e si fa largo con più insistenza una cultura assicurativa, ove possibile,  per tutelare il benessere dei figli, anche attraverso impegni di spesa per la formazione. Le scorte monetarie sempre più possono servire come supporto in caso di precarietà lavorativa e intermittenza dei redditi. Si parla di “Famiglia tutor”, che accompagna i figli nella costruzione del proprio futuro, non solo mettendo a disposizione risorse per la formazione, ma anche assicurando cuscinetti di denaro in caso di impellenti necessità. Ma non tutte le famiglie possono assolvere a tali impegni, in una situazione di grave crisi economica e sociale.

Si è via via perso quel welfare solidale che avrebbe dovuto caratterizzare i programmi dei vari governi con carattere strutturale e di lungo periodo, strategico e trainante per l’economia .

Alla luce di quanto esposto, oggi il vero problema è: come fare famiglia con il lavoro che non c’è.

Nel Sesto Rapporto dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, alla domanda: Quali sono le cose importanti della vita? i giovani intervistati rispondono che non sono più interessati al futuro. I valori che essi privilegiano sono quelli di carattere più individuale: la salute (92%), la famiglia (87%), la pace, (80%), l’ amore (76%) e l’amicizia (74%), a danno dell’impegno collettivo.

Per le famiglie la sostenibilità economica oggi è fortemente ridotta sia nella capacità di impiegare il proprio reddito per far fronte alle esigenze di spesa e di consumo, sia per riuscire a garantire ai figli una solida base su cui fondare la propria vita da adulti. L’insicurezza di oggi è dovuta principalmente a deprivazione di diritti, disoccupazione e precarietà nel mondo del lavoro. In termini di credibilità delle istituzioni e di efficienza dei servizi pubblici, hanno anche un impatto avverso la percezione negativa della qualità della società, e la mancanza di fiducia verso il prossimo e nei rapporti interpersonali.  Così, se proprio non si vuole continuare a vivere con mamma e papà, l’unica alternativa è chiedere loro un aiuto: una vita in ogni modo alle loro dipendenze. E il modello patriarcale riemerge.

Il mercato del lavoro, caratterizzato da precarietà, mancanza di sbocchi occupazionali, svalutazione delle professionalità, ha espropriato un’intera generazione del diritto di sperare nel proprio futuro.

Il genitore, d’altra parte, si trova sempre più solo, in una solitudine educativa che le molte informazioni diffuse dai mass-media in rassegne, rapporti, dibattiti, spot pubblicitari, social network, che vedono genitori e bambini in situazioni dorate o drammatiche, il più delle volte contrastanti e contraddittorie, contribuiscono ad aumentare angoscia ed incertezza aggiungendo confusione e disorientamento.

L’adulto genitore si trova sempre più in una profonda solitudine sociale, costretto a risolvere all’interno del nucleo familiare i propri problemi genitoriali; nella  difficoltà a trovare luoghi dove socializzare le problematiche legate al proprio ruolo tende a far prevalere il proprio individualismo rispetto alla condivisione con altri incentivando così il proprio isolamento sociale e partecipativo. Tutto ciò è favorito dalle risposte spesso sconnesse fornite dai servizi territoriali che fanno si che il genitore non si senta soggetto attivo nella gestione ma solo fruitore passivo.

Per questo il ruolo delle Associazioni dei genitori diventa determinante per far riscoprire il territorio come luogo di condivisione di esperienze ove i genitori possano  relazionarsi e ritrovare la propria identità.

Crediamo che le risposte alle argomentazioni del dibattito congressuale debbano partire proprio da una nuova spinta partecipativa.

Il CGD si dovrà impegnare sempre più ad organizzare i genitori dentro e fuori la scuola, dando loro consapevolezza del ruolo e della funzione genitoriale, affinché possano diventare soggetti attivi del cambiamento e del progresso civile.
MEDIA E MINORI

Il Cgd si è sempre collocato in un’area politico-culturale che prende ispirazione dai valori di laicità, libertà di espressione e giustizia sociale contenuti nella nostra Costituzione. In questi termini si è sempre impegnato su molti fronti attorno al tema del rapporto dei minori con le nuove tecnologie della comunicazione. Marisa Musu affermava che occorre “migliorare il pubblico per migliorare la Tv”, nel senso di un impegno quotidiano per sensibilizzare e rendere consapevoli i consumatori di media (e soprattutto i genitori) attorno alle straordinarie opportunità educative e ai rischi correlati.
Si ha, invece, la fondata impressione che nei giornali e tra i politici che fanno riferimento all’area che per abitudine continuiamo a chiamare laica e progressista, ci sia molto interesse per i destini televisivi di un programma o di un conduttore (come se coincidessero con i destini della democrazia), mentre non si intravvede attenzione o mobilitazione sulla questione della tutela dei minori, quasi che si trattasse di un tema potenzialmente portatore di istanze censorie.

Siamo certi che questo sia un errore: sia perché la sicurezza in rete o nel consumo televisivo è condizione per la libertà nella fruizione di vecchi e nuovi media da parte di bambini e ragazzi; sia perché l’attenzione alla qualità dell’offerta mediatica, anche nei programmi generalisti, mette in luce meccanismi economici e culturali che influenzano nel profondo la nostra evoluzione sociale.
Subiamo un po’ tutti la sensazione di uno scacco educativo grazie alla constatazione, oggi diffusa, che la molteplicità delle piattaforme di trasmissione è tale che rende impossibile ogni legiferazione o tentativo di controllo.
Cresce così indisturbata una incultura che fa dei minori l’oggetto privilegiato del consumo. Spesso con la complicità degli stessi genitori, cresciuti anch’essi nella stessa temperie televisiva.
E’ centrale, invece, il ruolo che si trovano a svolgere i genitori, assieme a chi esercita funzioni educative, attraverso la loro capacità di decidere cosa è meglio per i figli sulla base dei propri valori e convincimenti educativi. Il Cgd ha sempre operato in questo ambito muovendosi da questa impostazione culturale e politica. Per cui ha sempre considerato che un sistema di tutela non è fatto solo di barriere e meccanismi difensivi verso contenuti e situazioni inadatte o pericolose per i minori, ma deve soprattutto prevedere le misure necessarie ad arricchire la qualità della fruizione, a favorire le esperienze positive, a sostenere i genitori nella loro azione educativa.
Pur rilevando un profondo cambiamento non solo degli ambienti di apprendimento tradizionali, ma anche relazionali in cui si muovono i nostri bambini/e grazie alla diffusione e pervasività delle nuove tecnologie che ci potrebbe indurre ad una rassegnata impotenza, non rinunciamo alla nostra funzione educativa.
In tal senso chiediamo al Ministero dell’Istruzione l’introduzione curricolare ed in tutti ordini di istruzione della media education.
Essa non deve insegnare competenze ed abilità informatiche ( il digital divide rende i nostri ragazzi utenti spesso più esperti degli eventuali docenti), ma l’uso critico e responsabile degli stessi mezzi, la capacità di navigare criticamente, il senso profondo del rispetto dell’altro nell’uso dei social.
Siamo infatti certi che nessun codice o norma più o meno punitiva nei confronti dei “cyberbulli” possa sostituire una relazione educativa e a questo compito la scuola italiana non può sottrarsi.
Avendo inoltre constatato la debolezza strutturale delle istituzioni preposte alla tutela dei bambini nel campo degli audiovisivi , in cui pure il CGD è presente con volontarietà e tenacia (commissioni di revisione cinematografica presso il MIBAC- Comitato Media e Minori presso il MISE- Consiglio Nazionale degli Utenti presso AGCOM) ci facciamo portatori presso i Ministeri competenti di una proposta che richiami alla responsabilità sociale di impresa tutti i produttori di audiovisivi di ogni tipo.
Siano gli stessi produttori a dichiarare, sulla base di indicatori condivisi, per quale fascia di età il prodotto messo in circolazione su qualsiasi piattaforma è destinato, prevedendo sanzioni economiche in caso di errori di valutazione.
Sappiamo che questa proposta elimina il passaggio della prevenzione, ma ad oggi in Italia ci sembra l’unica strada percorribile di fronte al silenzio assordante sul tema della tutela dei minori.

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