DOCUMENTO DI SINTESI SUI PATTI EDUCATIVI a cura della rete EducAzioni

PREMESSE
Stipulare patti coinvolgendo soggetti diversi è necessario per attivare percorsi di rigenerazione
sociale, culturale, ambientale e urbana. A seconda dell’ampiezza e della articolazione dei
contesti, possono essere realizzati su base comunale, municipale, di quartiere o sovracomunale
(consortile).
Lo strumento del “Patto Educativo di Comunità” seppur ha ricevuto una diffusione principalmente quale risposta di emergenza alla Pandemia, può rappresentare un passo avanti significativo per lo sviluppo educativo dei territori.
I Patti Educativi di Comunità, per avere un impatto concreto devono superare il terreno dell’azione sperimentale e straordinaria per diventare strumento di policy ordinario per combattere la multifattorialità della povertà educativa, per migliorare le competenze professionali di docenti ed educatori/trici, per migliorare il sistema scolastico senza discriminare nessuna scuola, per
contribuire a processi di sviluppo delle reti territoriali intorno alla “scuola aperta” e allo sviluppo locale sostenibile. Per essere, cioè, uno spazio dove si ripensa alla scuola iniziando dal migliorarne la capacità di accogliere le carriere scolastiche più fragili e segnate da maggior fatica e intermittenza e, al contempo, favorire la qualità culturale e relazionale del territorio determinando il “successo formativo” di territorio. Tutto ciò a partire da una sistematizzazione dei provvedimenti e delle procedure amministrative già sperimentate o adottate, in base alla normativa esistente.
Non dimentichiamo inoltre che il successo formativo e la costruzione della autonomia personale vede nei primi anni di vita un momento cruciale e fondamentale. I diritti delle bambine e dei bambini diventano oggi il primo tassello irrinunciabile nel percorso di prevenzione ai fenomeni di disagio, subalternità, deprivazione. Per questo quando parliamo di patti educativi pensiamo anche al coinvolgimento di quei servizi educativi che, a partire dai nidi e dalle scuole dell’infanzia ma anche attraverso i servizi integrativi, quali ad esempio le ludoteche e i centri bambini e genitori, concorrono al successo formativo delle persone e della comunità. Vogliamo tenere conto di una comunità educante che assume anche il percorso dell’infanzia, e dello 0-6 anni in particolare, come elemento proprio e specifico di un processo di educazione e di crescita, in cui la genitorialità si fa atto sociale condiviso.
Tra gli obiettivi principali dei Patti rientrano il contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica, attraverso un approccio partecipativo e la valorizzazione delle esperienze e delle risorse già presenti sul territorio.

Gli accordi prevedono vari tipi di collaborazione per rafforzare alleanze educative, civili e sociali e utilizzare beni comuni presenti in un determinato territorio in attuazione
dei seguenti principi costituzionali: il principio di sussidiarietà orizzontale (articolo 118, comma 4), il principio di solidarietà (articolo 2) e quello di comunanza di interessi (articolo 43).
Analoghi accordi sono necessari per contrastare la povertà educativa degli adulti: ridurre i tassi di analfabetismo funzionale e aumentare la partecipazione degli adulti alle attività di apprendimento permanente.
Le sinergie tra le azioni di contrasto della povertà educativa dei minorenni e quelle della povertà educativa degli adulti sono evidenti: come attestano numerose indagini i bassi livelli di competenza del contesto familiare e sociale in cui vive la persona di minore età sono la principale determinante degli insuccessi scolastici e questi ultimi sono una delle principali ragioni di esclusione/autoesclusione degli adulti dalla partecipazione alle attività formative. Un vero e proprio circolo vizioso che può essere superato solo intervenendo contemporaneamente per migliorare le competenze dei minorenni e degli adulti.
I Patti educativi di comunità hanno diverse finalità riassumibili come segue:
● Rafforzare l’offerta educativa attraverso l’integrazione del pubblico e del privato grazie al
coinvolgimento di stakeholder diversi (scuole, CPIA, enti locali, università, centri per la
formazione professionale, enti culturali, Terzo settore, mondo imprenditoriale e del
lavoro, impresa sociale).
● Arricchire il curricolo scolastico standard attraverso un numero maggiore di occasioni di
apprendimento non formale e informale che consentano lo sviluppo di competenze
chiave per l’apprendimento permanente e competenze trasversali.
● Utilizzare e sviluppare spazi ‘comuni’ progettando attività più adeguate ai bisogni dei
cittadini, grandi e piccoli, di un determinato territorio.
● Promuovere la partecipazione informata e consapevole della comunità, in primis dei
bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze;
● Agire in un’ottica di empowerment di comunità e secondo un approccio community
based, che sappia riconoscere e valorizzare le risorse e la capacità educativa di una
comunità/territorio.
Il focus è sull’arricchimento formativo garantito dalla possibilità di svolgere attività didattiche
complementari a quelle del tradizionale curricolo scolastico utilizzando diverse tipologie di luoghi rispetto alla scuola come strade e piazze, parchi, teatri, biblioteche, cinema, musei. Ciò
consentirebbe di sperimentare maggiormente proposte pedagogiche diverse come l’outdoor
learning o il service learning, nelle quali assumono una certa rilevanza gli spazi di apprendimento ‘esterni’ alla scuola dove si sperimentano attività e metodologie per consentire agli studenti di sviluppare l’osservazione e la scoperta del territorio. In particolare, attraverso il service learning si promuove l’idea di una scuola civica e l’integrazione tra scuola, territorio, enti locali e mondo del lavoro. Inoltre, diventa centrale la partecipazione attiva degli studenti nella progettazione delle attività finalizzate all’apprendimento, facendo leva sulla loro motivazione e sulla percezione dell’utilità e della spendibilità dei percorsi di apprendimento a loro destinati.
La valorizzazione degli apprendimenti delle persone realizzati attraverso la vita attiva in contesti non formali e informali è anche alla base della motivazione degli adulti per continuare ad apprendere in tutte le fasi della vita.
La partecipazione attiva degli studenti rappresenta un elemento chiave per sviluppare quella
competenza denominata “cittadinanza attiva”, rendendo i/le giovani protagonisti non solo della progettazione dei percorsi di apprendimento, ma anche attori più consapevoli nell’intero del processo di apprendimento. Per quanto riguarda gli ambiti di applicazione, le aree di intervento previste nei Patti educativi sono molteplici e in relazione agli attori coinvolti: si spazia dall’attività motoria alla musica, da laboratori di arte e creatività alle tecnologie informatiche fino a percorsi di apprendimento ‘green’ legati a tematiche ambientali e recupero del territorio. Inoltre la collaborazione tra enti locali, istituzioni educative e soggetti del terzo settore è necessaria per la costruzione di reti territoriali dei servizi per l’apprendimento permanente.
In sede di premessa va sottolineata anche la necessità di ribadire anche quello che i “Patti
Educativi” non sono, per non correre il rischio di utilizzare tale concetto per descrivere processi
diversi e a volte in contraddizione tra loro.
Schematicamente, su questo piano, appare importante sottolineare che i “patti educativi”:
● Non sono luoghi che possono essere pensati come “svuotamento della scuola”, o come
processo pensato solo per contrastare la dispersione, ma al contrario luoghi che attivano un
processo che rafforza e valorizza la scuola pubblica. La scuola intesa come laboratorio in cui
il sistema di relazioni con il territorio consente di agire a “monte” e non solo a “valle” per
prevenire e arginare disagio, dispersione, fallimento formativo.
● Non sono luoghi per vincere progetti, ma spazi in cui si prova, attraverso una mappatura dei
bisogni e delle risorse, a mettere a sistema i diversi interventi e i differenti finanziamenti; a
valorizzare le pratiche migliori; individuare i bisogni inevasi per provare a proporre nuovi
interventi. Anche a ritrovare il valore “dello svelamento e della denuncia” e quindi anche
dell’abilitazione di “movimenti e vertenze”.
LA SCUOLA
I patti educativi di comunità riconoscono la funzione costituzionale della scuola e gli obiettivi del sistema pubblico di istruzione e li sostengono. Non sono, e non devono essere, una procedura per svilire la funzione pubblica della scuola attraverso la delega ad altri della propria responsabilità educativa. Si fanno invece occasione per permettere al sistema scolastico di arricchirsi delle specificità e delle chiavi di lettura che la dimensione locale suggerisce, favorendo lo sviluppo delle capacità di bambine/i e adolescenti e la crescita delle competenze di cittadinanza di tutte e di tutti.
Nei luoghi dove è più profonda ed estesa la povertà educativa, le forze della scuola da sole non sono sufficienti per contrastare la piaga della dispersione scolastica. Scuola e Territorio vanno connessi. C’è bisogno di una “comunità educante” e i Patti educativi di comunità possono essere il luogo privilegiato per dare vita alla sua costruzione. Va creato un contesto in cui la scuola sia al centro di processi di rigenerazione degli spazi urbani, assumendo responsabilità e mettendo in connessione competenze differenti.
Si deve ripensare alla relazione tra città e scuola ponendo l’attenzione non solo sulle politiche
educative, ma anche intorno alle politiche sociali, culturali, ambientali, artistiche e urbane, per
provare a rispondere insieme sia ai bisogni materiali che a quelli immateriali. Provare a immaginare e dare sostegno a nuove modalità di educare e fare scuola.
Tutto ciò è possibile a patto che la scuola si apra alla comunità e ai suoi diversi attori e il territorio riconosca la scuola non solo nella sua funzione educativa prioritaria, ma anche come istituzione vicina e aperta, in grado di dialogare anche con le parti più lontane refrattarie a coinvolgersi e a investire nel rapporto con la “cosa pubblica”.
La scuola è chiamata a svolgere un ruolo di rilancio e traino della società civile e delle relazioni
territoriali; come istituzione più vicina ai bisogni di un determinato territorio, può svolgere un
ruolo di ‘guida’ all’interno della più ampia prospettiva della cosiddetta comunità educante. La
comunità educante è composta dai soggetti coinvolti nella cura e nell’educazione dei bambini,
bambine e degli adolescenti e, oltre alla scuola e alla famiglia, comprende le organizzazioni del
Terzo settore, il privato sociale, le istituzioni pubbliche, la società civile, le parrocchie, le università, il settore economico, e i/le giovani stessi/e; essa può rappresentare una risposta valida al
fenomeno della povertà educativa minorile attraverso interventi co-progettati da tutti gli attori
coinvolti.
Nell’ambito dei patti educativi di comunità i Centri d’istruzione degli adulti sono chiamati a
realizzare azioni di contrasto della povertà educativa degli adulti realizzando le reti territoriali per l’apprendimento permanente in collaborazione con enti locali e soggetti del terzo settore così come previsto dalla riforma dell’istruzione degli adulti (DPR 263/2012), dalla Legge 92/2012 3 e dall’Accordo C.U. Stato Regioni/2014.
Grazie alla condivisione di strumenti, idee e buone pratiche è possibile migliorare le condizioni di vita di bambini/e e ragazzi/e, che diventano non solo destinatari/ie degli interventi formativi, ma anche protagonisti/e delle iniziative ideate e realizzate. Le istituzioni educative, in virtù della propria autonomia, possono diventare il fulcro di nuove partnership tra gli attori della comunità educante per dar luogo ad accordi che consentano di realizzare attività formative con le quali arricchire l’offerta didattica standard e contrastare la povertà educativa minorile, degli adulti e l’esclusione sociale.
SAPER FARE CON GLI ALTRI E LE ALTRE
Per la buona realizzazione dei Patti, la prima e fondamentale capacità, sta nel “saper fare con gli altri”. Questo richiede la cura e l’attenzione costante dei molteplici spazi dove si articolano e si incontrano le diverse finalità, competenze e responsabilità degli operatori che appartengono alle diverse istituzioni/associazioni della cura, dell’aiuto, dell’educazione, del risanamento ecologico e della cultura. A questi operatori si aggiungono tutti coloro che vivono nella comunità come commercianti, artigiani, ecc.
La qualità di un patto non è data dal numero, più o meno grande, di partner, ma dalla capacità che avrà di sostenere lo sforzo e l’impegno delle pratiche e degli spazi di condivisione che le situazioni complesse creano per la loro gravità e la molteplicità dei disagi. Questo presuppone di riconoscere e considerare che sono le famiglie e i legami vitali e amicali a creare gli spazi di sovrapposizione tra i diversi professionisti.
Queste molteplici attivazioni, tra le quali dobbiamo anche considerare i rifiuti o le rotture dei
legami rispetto alle offerte dei servizi ci “spingono” a lavorare ai limiti delle nostre competenze
specifiche e in situazioni o spazi diversi da quelli previsti e per i quali siamo stati prevalentemente formati. Questi luoghi, che possiamo identificare come “spazi di sovrapposizione” sono molto spesso abitati dagli operatori, solo che non sono riconosciuti (a volte dagli stessi) come spazi di trattamento, di aiuto, di cura, ecc., anzi, vengono considerati “rischiosi” perché impongono uno sconfinamento e una intrusione reciproca nelle rispettive competenze specifiche e una diversa modalità di condividere le responsabilità, le informazioni e i meriti nel cambiamento delle situazioni di disagio e nella costruzione della comunità (non solo educante).
Questi elementi permettono, inoltre, di percorrere i diversi livelli di responsabilità che vanno dalla prossimità delle azioni alle decisioni politiche più generali favorendo un contesto collettivo di fiducia reciproca dove, anche la questione pubblico/privato e la relativa governance, può articolarsi, integrarsi e esprimersi nelle forme più giuste o le meno ingiuste possibili.
Infine ma non ultima per importanza, c’è la questione delle risorse a sostegno della creazione e della stabilizzazione dei Patti Educativi. Vanno individuate risorse finanziarie che consentano
l’ampliamento non solo del tempo scuola, ma anche del tempo educativo, a cui ciascun/a
bambino/a o adolescente ha diritto.
Tali risorse devono essere intese tanto nell’individuazione di nuovi fondi strutturali a disposizione dei Patti educativi di comunità (PN Inclusione Sociale, PN Scuola e Competenze, PN CapCoe, FAMI, etc.), quanto nella finalizzazione delle risorse del PNRR e nell’armonizzazione e finalizzazione delle programmazioni di spesa già esistenti in materia di Sanità, Istruzione, Fondo Nazionale Politiche Sociali, Fondi Fami, Fondi per le attività sportive e culturali e Fondi per il Contrasto alla povertà educativa. Specifiche risorse devono essere individuate per finanziare azioni previste dal “Piano strategico nazionale per lo sviluppo delle competenze della popolazione adulta” approvato in Conferenza Unificata Stato Regioni l’8 luglio 2021.
Un buon patto deve prevedere a livello locale un sistema stabile di co-programmazione degli
investimenti da parte di Scuole, ASL, Ambiti Sociali ex L.328/2000 e Fondi per la progettazione
dedicata a fasce di minorenni vulnerabili a cui accedono gli enti del Terzo Settore.
In fase di progettazione e programmazione è sempre bene dialogare e cooperare per non
limitarsi a redigere solo una mappa dei bisogni e delle mancanze, riuscendo a individuare le
risorse a cui accedere insieme per evitare vuoti, confusioni, sprechi e sovrapposizioni.
I PATTI DOVREBBERO:
Essere un luogo di concreto e reciproco apprendimento educativo, culturale e sociale. Un luogo che motivi e potenzi l’innovazione didattica, educativa e sociale.
Essere percepiti dalle comunità come processo utile al loro benessere e al miglioramento della
qualità della vita e delle relazioni.
Essere in grado non solo di contenere e ridurre i danni prodotti dalla povertà educativa, ma
contribuire anche al cambiamento delle condizioni sociali, economiche, ambientali e culturali che determinano la crisi educativa.
Essere in grado di attivare un processo di riforma radicale della scuola in un processo virtuoso di scambio con il territorio attivando una connessione tra le politiche educative e l’insieme delle altre
politiche pubbliche (trasporti, assetto urbano, qualità ecologica, welfare, conciliazione
vita-lavoro…).
Creare apertura, legami, connessioni, avanguardia, innovazione, partecipazione.
Rafforzare e valorizzare la scuola pubblica, come laboratorio sociale, comunità di partecipazione democratica, in primis aiutandola a farsi comunità, in un’idea di scuola che si lascia attraversare dal territorio e che per questo sa progettare l’offerta educativa ampliando le opportunità di apprendimento e di crescita personale e migliorando il successo formativo di territorio.
Facilitare (e poter contare su) l’apertura delle scuole durante tutto il giorno e durante il periodo estivo, perché gli spazi possano essere fruibili per le diverse attività previste nei Patti,
promuovendo allo stesso tempo azioni e interventi che trasformino il territorio in un contesto
educativo diffuso, che sa riconoscere e intrecciare gli apprendimenti formali con quelli non
formali e informali.
Assumere come priorità la cura delle situazioni di maggior fragilità (bisogni educativi speciali,
alunni con background migratorio con forti difficoltà linguistiche, persone con diversa abilità,
situazioni di povertà educativa, abitativa e materiale) per non lasciare indietro nessuno e per
garantire a tutte e a tutti le stesse opportunità educative e di cittadinanza. I patti educativi
territoriali devono tendere alla personalizzazione della presa in carico dei minorenni vulnerabili
e degli adulti con bassi livelli di competenza, e contemporaneamente devono modificare il
fenomeno crescente della “segregazione scolastica”, quel movimento spontaneo delle famiglie
che tende a dividere gli studenti in scuole di serie A e scuole di serie B in base a una fascia
sociale e socio-economica di appartenenza e che comporta la costituzione di classi di soli figli di immigrati.
Favorire il protagonismo e la partecipazione attiva di alunni e alunne e delle famiglie, nonché le relazioni e la qualità degli spazi pubblici all’interno della comunità educante.
Definire e programmare interventi e azioni attraverso processi di co-progettazione integrata,
basati su un rapporto di pari dignità di tutti gli attori pubblici e privati coinvolti a partire da un
sistema organizzativo e funzionale centrato sul riconoscimento e la valorizzazione delle
competenze e delle funzioni di tutti i soggetti coinvolti.
Essere strumento di infrastrutturazione sociale e di policy.
I PATTI SONO LUOGHI IN CUI:
Ogni soggetto riconosce gli altri come co-attori paritari e non come strumenti a cui delegare
compiti e funzioni non condivise.
Si impara il linguaggio degli altri e si costruisce un linguaggio comune.
La co-progettazione viene assunta come metodo trasversale che caratterizza le diverse tappe degli interventi, dalla progettazione fino alla valutazione dei risultati.
Non ci sia delega di responsabilità nella relazione tra pubblico e privato, ma la capacità, pur senza confusioni di ruoli e mandati, di assumere collettivamente la funzione pubblica dei servizi e degli interventi.
Il confronto non si limiti alla mera consultazione ma comporti una cessione reale di potere, sia
nella definizione degli indirizzi che nell’uso delle risorse.
Si scopre insieme la capacità di sconfinare dagli interventi tradizionali esplorando settori e
ricercando attori e alleati capaci di coniugare l’intervento con le politiche urbane, con la creazione di economie fruttifere per il territorio.
Si scopre insieme la capacità di ribaltare lo sguardo e la prospettiva ponendosi la finalità di non denunciare solo mancanze, ma anche ricercare [e/ riconoscere e valorizzare] risorse.
I PATTI SI BASANO:
Sulla ricognizione delle risorse sociali, civiche, culturali presenti nel territorio e disponibili a
contribuire alla costruzione della “comunità educante”, dalle organizzazioni del terzo settore e
dell’associazionismo civico alle parrocchie, ai centri sportivi, fino ai vigili urbani e ai negozi di
prossimità, senza limitarsi ai soli soggetti di rappresentanza istituzionale e sociale, ma costruendo dispositivi che permettano la partecipazione informata e consapevole di tutti, e principalmente dei bambini e degli adolescenti.
Sull’analisi dei bisogni e delle specifiche necessità del territorio sotto il profilo dei diritti delle
bambine, dei bambini e degli adolescenti, degli adulti ad apprendere lungo tutto il corso della vita e del contrasto alle diseguaglianze educative, con una chiara definizione degli obiettivi da
raggiungere, attraverso una integrazione tra i percorsi educativi curricolari ed extracurriculari;
piena condivisione tra gli attori coinvolti, a partire dalle scuole – che hanno un ruolo guida nel
processo – gli enti locali, le aziende sanitarie, gli studenti, le famiglie, il terzo settore, i soggetti
attivi sul territorio in campo culturale, sportivo, ambientale, ricreativo e soggetti del mondo
produttivo interessati.
Un sistema di governance che favorisca la co-progettazione, consenta un monitoraggio costante e un aggiornamento e adeguamento del Patto quando necessario.
Su condizioni organizzative che rendano concretamente possibile l’operatività del Patto, favorendo la flessibilità nell’utilizzo degli spazi e degli orari del personale a diverso titolo coinvolto, e la chiara definizione del quadro delle responsabilità di ciascun soggetto.
Su un ripensamento delle risorse economiche a sostegno della creazione e della stabilizzazione dei Patti educativi.
Su un sistema integrato di monitoraggio e valutazione capace di sistematizzare i dati e di porre in luce le criticità e gli elementi caratterizzanti e di valore, nonché non solo di individuare obiettivi e azioni, ma anche la loro misurabilità in modo concreto, leggibile e comprensibile a tutti gli Enti coinvolti. Un sistema finalizzato ad accompagnare l’operatività ed i servizi con una costante attività di ricerca azione, che consenta ai decisori politici di impostare le politiche educative della Comunità.
Un sistema pensato non come strumento di rendicontazione, ma come strumento di condivisione per innescare processi di cambiamento.

Con il contributo di:
Forum Disuguaglianze Diversità
Alleanza per l’Infanzia
ASviS
CNCA
Forum Education
Gruppo CRC
Libera
Per un nuovo welfare
Rete nazionale Scuole Senza Zaino
Saltamuri

Tagged with:    

About the author /


Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Flickr

    Contatti CGD

    Il Coordinamento Genitori Democratici è una ONLUS fondata nel 1976 da Marisa Musu e Gianni Rodari sull'onda dei movimenti di partecipazione e di rinnovamento democratico delle istituzioni tradizionali. Trovate maggiori informazioni in CHI SIAMO