Asili nido: le telecamere o un serio sistema di controllo gestionale, organizzativo e pedagogico?

COMUNICATO STAMPA

Certamente gli episodi di violenza sui bambini praticate in alcuni servizi educativi salgono agli onori della cronaca e riempiono le testate dei giornali, i blog, arrivano come un pugno chiuso nello stomaco di chi legge e vengono percepiti al pari di qualsiasi atto di violenza a cui si assiste nei luoghi attraversati da guerre e catastrofi. Solo che in questo caso i luoghi in cui si praticano queste violenze sono luoghi situati in contesti pacifici, considerati affidabili e pertanto percepiti come al di sopra di ogni sospetto, luoghi e persone ai quali i genitori affidano le persone più preziose: i bambini piccolissimi, incapaci di esprimere il proprio dissenso, impossibilitati a difendersi, in una fase della crescita in cui stanno strutturando, attraverso la relazione con gli adulti, i coetanei e il contesto, i fondamentali sui quali costruire i propri riferimenti simbolici, emotivi, cognitivi.

Non si può che condividere il grande malessere su questi fatti, ma contemporaneamente, constatiamo che dietro la vicenda di cronaca che viene presentata attraverso i media, parte la generalizzazione del ‘sistema malato’ e l’indicazione ineludibile del correttivo: il controllo serrato su tutti i servizi, attraverso strumenti come le telecamere, ritenute risolutorie per l’intercettazione dei gesti di violenza perpetrati sui bambini. Su questo genere di soluzioni non si può che avere una valutazione negativaperché questi interventi non porterebbero altro che a minare il sentimento di fiducia fra genitori e personale educativo, sentimento costruito su un preciso patto che va reso esplicito e monitorato sempre.

Sarebbe necessario però che su questi fatti il personale educativo, i coordinatori pedagogici, gli insegnanti e i dirigenti scolastici si esprimessero e, nel contempo, avessero la forte determinazione di sottoporre prima di tutto al loro interno, alle famiglie, oltre che ai referenti politici locali di Parlamento e Governo, una serie riflessioni sul contenuto di questo ddl che non coglie adeguatamente l’inopportunità e la pericolosità delle soluzioni che propone.

Dovrebbe essere impostata, altresì, una riflessione generalizzata, di carattere nazionale, sul sistema educativo, nella direzione non solo della predisposizione di percorsi di studio per il raggiungimento di specifica professionalità da parte degli educatori e del personale della scuola , ma della necessaria, continua e obbligatoria formazione in servizio, del rispetto dei contratti sia da parte di chi opera, sia da parte dei datori di lavoro, perché un’attività così profondamente delicata e difficile deve essere governata con il massimo delle garanzie. L’orario di lavoro, le compresenze orarie del personale, il rapporto numerico insegnante-bambini, il confronto sistematico su modelli educativi e pedagogici, la definizione di precise responsabilità, il reale controllo di qualità del sistema: sono aspetti ineludibili della qualità dell’ambiente formativo, cui va affiancato un serio sistema di controllo gestionale, organizzativo e pedagogico, che non può certo essere basato sulla sfiducia preventiva dell’azione educativa e sullo ‘spionaggio investigativo’ a mezzo di telecamere installate nei locali delle scuole, così come previsto dal disegno di legge in oggetto.

Uno dei requisiti fondamentali su cui si fonda il patto educativo tra il servizio e le famiglie è proprio la fiducia reciproca che, ovviamente non è data in natura, ma va conquistata attraverso la constatazione che il luogo e le persone cui i bambini vengono affidati, corrispondono davvero ai requisiti dichiarati dall’ente gestore (Comune o altro soggetto privato a cui è stata concessa la gestione del servizio in convenzione o in appalto).

Quello che manca nei servizi e che porta verso queste inconcepibili situazioni è di fatto l’assenza di una gestione comunitaria del servizio educativo. Il controllo e la governante sono un punto fondamentale e dirimente di tutti i servizi rivolti alla persona, tanto più quando essa è fragile e non può o riesce a difendersi. Questo controllo però non deve essere praticato con la telecamera, che è un modo molto rapido di risolvere il problema e non evita di certo l’atteggiamento increscioso di chi pratica violenza, poiché nel momento in cui lo rileva, il gesto è già compiuto e non fa, quindi, alcuna prevenzione.

Occorre fare leva piuttosto sulla cultura della valutazione permanente del lavoro di cura, che si esprime a più livelli e che deve contemplare alcuni punti fondamentali, indispensabili per la qualità minima dei servizi educativi, sia pubblici che privati. Il concorso di più fattori costa molto di più in termini di impegno e richiede una esplicita scelta di campo, anche di natura politico-sociale. Alla logica del controllo basato sul pregiudizio e sulla presunta sfiducia che è sottintesa dall’uso della telecamera, èindispensabile sostituire la pratica della valutazione pedagogica.

Si tratta di un tema troppo delicato e complesso, indubbiamente grave e che non va assolutamente sottovalutato, nonostante la casistica limitata, ma riteniamo che non possa assurgere ad ‘allarme sociale’ a cui dare come unica soluzione la risposta dell’installazione della video sorveglianza in ogni scuola. Per questa ragione allora, in base a quanto emerge dai dati nazionali,dovremmo installare le telecamere anche in ogni casa, dal momento che la maggioranza delle violenze sui minori viene perpetrata fra le mura domestiche!

Pensiamo che sia importante non tacere sul fatto che sono necessari confronti non solo mediatici, ma reali, nella vita comune di ogni giorno, nella scuola, nelle aule consiliari, nelle associazioni culturali e politiche, nelle famiglie, a livello di cittadinanza. Purtroppo nel nostro Paese si stanno perdendo di vista valori come il saper ascoltare, la collaborazione, il confronto e la solidarietà, che si nutrono di onestà morale e intellettuale, non di superficialità e soluzioni autoritarie.

L’emergenza della situazione impone a tutti noi  un nuovo percorso generale di “riappropriazione” di dignità di un lavoro indispensabile come quello dell’educare.

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