AUDIZIONE DEL CGD del 7 Settembre 2016 – VII Commissione Camera dei Deputati su”Introduzione dell’educazione di genere nelle attività didattiche, delle scuole del sistema Nazionale d’Istruzione .”

Ringraziamo la Commissione per l’opportunità offertaci di presentare anche il nostro parere, quello cioè di un’associazione laica che da 40 anni e più osserva, “pedina”, raccoglie ed interpreta bisogni e sogni di tanti genitori italiani, su un tema, come quello dell’educazione all’affettività, facilmente strumentalizzabile se si gioca questa grande questione culturale su paure ancestrali e disinformazione. Un’associazione genitori dunque che si iscrive nel panorama variegato e plurale delle famiglie italiane senza avere la pretesa, essa sì ideologica, di rappresentare l’archetipo della famiglia italiana con cui la politica dovrebbe confrontarsi.

I genitori e gli insegnanti hanno chiaro il fatto che la scuola va diventando sempre più, anche sotto l’aspetto dello spazio fisico e della organizzazione interna, un luogo in cui non sono attivati soltanto processi di trasmissione culturale ma anche di educazione, relazionalità, di formazione in senso ampio.  E’ l’antica contrapposizione tra istruzione ed educazione come mission e mandato costituzionale affidato alla scuola pubblica italiana che viene surrettiziamente riproposto. Se il termine educazione è stato  espunto per il pesante ricordo del ventennio fascista dalla titolazione del Ministero di riferimento, sappiamo tutti come il termine istruzione non rappresenti oggi la realtà della scuola italiana e ricorriamo, tra addetti ai lavori, all’anglicismo “education” che meglio connota la realtà di cui ci occupiamo. Ed è singolare che la richiesta di una scuola che solo ISTRUISCA venga rivolta proprio dalle famiglie che afferiscono alla scuola paritaria, scuola cui solitamente ci si iscrive perchè si condivide l’impianto valoriale o religioso sotteso.

I nuclei famigliari tradizionali rappresentano oggi solo il 32,8 % della popolazione: 8 milioni su 25, quasi 1 su 3 e nell’ultimo decennio sono ulteriormente calate le coppie con figli, mentre sono aumentate quelle monogenitoriali. I bambini vivono in arcipelaghi di nuove convivenze: ci sono case con genitori e figli, ma anche coabitazioni con un solo genitore o insieme a nonni e zii. E vi sono legami con genitori in assenza di convivenza. Una parte larga dei quotidiani legami di bambini e ragazzi si svolge anche in più abitazioni ( quelle dei genitori separati o quelle dei nonni se si è tornati, come spesso la crisi ha richiesto, in quella delle famiglie d’origine). Ci sono poi le case delle nuove convivenze, con il nuovo compagno che propone nuovi legami insieme ad altri bambini che non sono i fratelli.

Insomma ci può essere una moltitudine assai differenziata di co-abitazioni momentanee, parziali, riprese, interrotte; legami con adulti e altri bambini/ ragazzi, di durata e intensità molto variabili.

Con questo passaggio siamo chiamati a confrontarci per riconoscere e valorizzare nuovi o ulteriori possibili ruoli proficui sul piano dell’educazione.

La scuola non può perciò muoversi  in una rappresentazione della famiglia largamente maggioritaria nel senso comune e nella TV, pena una scissione tra famiglie reali e famiglie mentali: il rapporto scuola-famiglia cambia necessariamente.

Nessun facile sociologismo, ma un’attenzione anche agli oggetti dell’educare, le “cose di scuola” (zaino, diario, etc), cose che ora spesso viaggiano da un luogo all’altro. I ragazzi portano in classe  con le loro persone anche oggetti e luoghi.

Si pensi inoltre ai valori della libertà, dell’uguaglianza, della pari dignità, del bene comune, della solidarietà, della partecipazione. Questo modo di procedere può giovarsi anche della situazione di multiculturalità in cui versa la scuola e che negli anni a venire sempre più la contrassegnerà. Il confronto con culture “altre” per la ricerca di valori comuni, insieme all’avvaloramento di quel sapere familiare “altro”, può rappresentare lo strumento per volgersi alla costruzione di un nuovo modo di essere scuola e di una nuova professionalità docente.

Per venire nel merito dell’audizione odierna  ci troviamo a discutere di disegni di legge a partire dal A.C.1230 che  prevedono l’istituzione di un’ora curricolare di una disciplina variamente definita ( di genere, educazione sentimentale etc) per rendere  operante l’applicazione del comma 16 della legge 107, che a sua volta  riprende il dettato della legge 119 del 2013, più nota come legge sul femminicidio.

Il Coordinamento Genitori Democratici riconosce la necessità dell’istituzione di un’ora dedicata per le seguenti ragioni:

  • Si rende operativo un dettato legislativo che è stato spesso disatteso e fonte di resistenze nonostante i vincoli di legge e le “pubblicande” Linee Guida del MIUR ( evidentemente intese solo come una generica sollecitazione). Abbiamo tuti sotto gli occhi la dolorosa parabola storica dell’educazione alla legalità/cittadinanza che hanno di fatto distrutto l’insegnamento dell’Educazione Civica del 1958.
  • Si riporta tale disciplina nell’ambito degli insegnamenti curricolari senza affidamenti ad  eventuali agenzie esterne. Sarà il legislatore a risolvere i tecnicismi conseguenti a quest’istituzione ( a quali cattedre attribuirla, come difenderne la trasversalità, quali i criteri di valutazione)

Si aprono però due importanti scenari: la FORMAZIONE dei docenti e la RELAZIONE con le famiglie.

Per quanto attiene al primo punto affermiamo la necessità di indicare esplicitamente nelle forme che si stanno individuando nel reclutamento dei nuovi docenti italiani (concorsi, tirocini formativi etc) l’accertamento delle competenze in tal senso; per i docenti in servizio la chiara indicazione del MIUR di dedicare parte dell’aggiornamento obbligatorio  a percorsi formativi mirati.

Più complesso il secondo punto e cioè la relazione con le famiglie.

E’ per noi imprescindibile però fare prima delle precisazioni.

Intendiamo infatti ragionare della relazione con i genitori, dei luoghi della democrazia scolastica da non confondersi con la mediazione con un nuovo familismo.

Lo sgretolarsi dell’alleanza tra famiglie e scuola in una fase in cui si radica sempre più tra i genitori la convinzione che la scuola debba essere in continuità con la famiglia.

Che debba piegarsi e conformarsi a quel clima di morbide protezioni, indulgenze, complicità, assenza di regole e timore di farle rispettare che caratterizza in molte famiglie il rapporto tra genitori e figli. Mai come oggi ci sono state tante denunce a dirigenti scolastici e insegnanti per una bocciatura o per una sanzione.

Nel familismo dilagante dei nostri tempi infatti, si sta facendo sempre più debole l’idea che la scuola per sua natura e ruolo sia e debba essere un luogo educativo diverso da quello della famiglia. Non divergente o contrastante, ma diverso perché più aperto, più ricco, più plurale di quanto possa mai esserlo qualsiasi contesto familiare. Spazio pubblico oggettivamente inclusivo in cui si incontrano alla pari ragazzi di diverse condizioni sociali e culturali, sani e disabili, italiani e stranieri, cattolici e musulmani, capaci e meno capaci. Spazio plurale in cui si manifestano, senza la pretesa di prevalere, diverse opinioni, punti di vista, sensibilità culturali, scelte religiose.

Spazio di relazioni tra adulti e giovani, e di giovani tra loro, in cui far maturare consapevolezza civica, intelligenza e rispetto delle istituzioni, condivisione dei principi e delle regole della convivenza democratica, motivazioni alla partecipazione attiva alla vita della comunità, esperienze di solidarietà. Cultura, insomma, nel senso pieno del termine. È questo ruolo inclusivo, strategico per la democrazia, che oggi è intenzionalmente sotto attacco. Ma le risposte della politica saranno inevitabilmente deboli se non terranno conto e non contrasteranno i fenomeni di privatizzazione familistica che interessano anche la scuola.

La ricerca di tante famiglie di scuole senza stranieri, di aule senza disabili, di sezioni omogenee dal punto di vista sociale; e anche di tanti insegnanti che lasciano correre, che non vogliono vedere quello che non va, che per insipienza o indifferenza abdicano al loro ruolo e alle loro prerogative. Sono processi che vengono da lontano, ma da non sottovalutare perché ne vengono indeboliti il ruolo della scuola pubblica, la sua credibilità sociale, la sua autorevolezza.

Non si tratta pertanto di un processo di sottrazione (sottrazione della responsabilità familiare da parte della Scuola: abbiamo tutti ben chiaro l’articolo 30 della nostra Costituzione!) che ingenera difese e paure, ma della consapevolezza che sono molteplici le agenzie educative che intervengono nella formazione dei futuri cittadini e che la democrazia risiede proprio nel pluralismo.

I problemi educativi sono collocati in un contesto di frontiera e si deve oggi  lavorare sul confine, aperti all’influenza dell’alterità e pronti a rivedere le cornici della propria identità. Contrastando quindi il diffuso senso di insicurezza e di paura che respinge ognuno nel proprio individualismo, che ci fa vivere in un’eterna campagna elettorale.

Si pone pertanto, in attesa dell’auspicata riforma degli Organi Collegiali, una indispensabile campagna di informazione sul funzionamento degli stessi.

L’elaborazione del Piano dell’Offerta Formativa Triennale prevede anche la consultazione e la collaborazione dei genitori : è un diritto da esercitare insieme ai genitori eletti nei Consigli di istituto che tale Piano deliberano. Non esiste invece un diritto di “facoltatività” rispetto ad alcune discipline.

Né può essere accampato come giustificazione a richieste di esonero da discipline curricolari, l’art.2 della Convenzione Europea sulla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo quando afferma che “lo Stato, nell’ambito dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche”, che è vero solo fino a quando le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori non contraddicono le leggi dello Stato stesso.

In questa cornice di riflessione chiediamo ai legislatori di non eludere il problema perché apparentemente divisivo: l’emergenza educativa  ci chiede di intervenire in tempi rapidi.

ROMA, 15 settembre 2016

CGD Nazionale

 

 

 

 

Ringraziamo la Commissione per l’opportunità offertaci di presentare anche il nostro parere, quello cioè di un’associazione laica che da 40 anni e più osserva, “pedina”, raccoglie ed interpreta bisogni e sogni di tanti genitori italiani, su un tema, come quello dell’educazione all’affettività, facilmente strumentalizzabile se si gioca questa grande questione culturale su paure ancestrali e disinformazione. Un’associazione genitori dunque che si iscrive nel panorama variegato e plurale delle famiglie italiane senza avere la pretesa, essa sì ideologica, di rappresentare l’archetipo della famiglia italiana con cui la politica dovrebbe confrontarsi.

 

I genitori e gli insegnanti hanno chiaro il fatto che la scuola va diventando sempre più, anche sotto l’aspetto dello spazio fisico e della organizzazione interna, un luogo in cui non sono attivati soltanto processi di trasmissione culturale ma anche di educazione, relazionalità, di formazione in senso ampio.  E’ l’antica contrapposizione tra istruzione ed educazione come mission e mandato costituzionale affidato alla scuola pubblica italiana che viene surrettiziamente riproposto. Se il termine educazione è stato  espunto per il pesante ricordo del ventennio fascista dalla titolazione del Ministero di riferimento, sappiamo tutti come il termine istruzione non rappresenti oggi la realtà della scuola italiana e ricorriamo, tra addetti ai lavori, all’anglicismo “education” che meglio connota la realtà di cui ci occupiamo. Ed è singolare che la richiesta di una scuola che solo ISTRUISCA venga rivolta proprio dalle famiglie che afferiscono alla scuola paritaria, scuola cui solitamente ci si iscrive perchè si condivide l’impianto valoriale o religioso sotteso.

I nuclei famigliari tradizionali rappresentano oggi solo il 32,8 % della popolazione: 8 milioni su 25, quasi 1 su 3 e nell’ultimo decennio sono ulteriormente calate le coppie con figli, mentre sono aumentate quelle monogenitoriali. I bambini vivono in arcipelaghi di nuove convivenze: ci sono case con genitori e figli, ma anche coabitazioni con un solo genitore o insieme a nonni e zii. E vi sono legami con genitori in assenza di convivenza. Una parte larga dei quotidiani legami di bambini e ragazzi si svolge anche in più abitazioni ( quelle dei genitori separati o quelle dei nonni se si è tornati, come spesso la crisi ha richiesto, in quella delle famiglie d’origine). Ci sono poi le case delle nuove convivenze, con il nuovo compagno che propone nuovi legami insieme ad altri bambini che non sono i fratelli.

Insomma ci può essere una moltitudine assai differenziata di co-abitazioni momentanee, parziali, riprese, interrotte; legami con adulti e altri bambini/ ragazzi, di durata e intensità molto variabili.

Con questo passaggio siamo chiamati a confrontarci per riconoscere e valorizzare nuovi o ulteriori possibili ruoli proficui sul piano dell’educazione.

La scuola non può perciò muoversi  in una rappresentazione della famiglia largamente maggioritaria nel senso comune e nella TV, pena una scissione tra famiglie reali e famiglie mentali: il rapporto scuola-famiglia cambia necessariamente.

Nessun facile sociologismo, ma un’attenzione anche agli oggetti dell’educare, le “cose di scuola” (zaino, diario, etc), cose che ora spesso viaggiano da un luogo all’altro. I ragazzi portano in classe  con le loro persone anche oggetti e luoghi.

Si pensi inoltre ai valori della libertà, dell’uguaglianza, della pari dignità, del bene comune, della solidarietà, della partecipazione. Questo modo di procedere può giovarsi anche della situazione di multiculturalità in cui versa la scuola e che negli anni a venire sempre più la contrassegnerà. Il confronto con culture “altre” per la ricerca di valori comuni, insieme all’avvaloramento di quel sapere familiare “altro”, può rappresentare lo strumento per volgersi alla costruzione di un nuovo modo di essere scuola e di una nuova professionalità docente.

Per venire nel merito dell’audizione odierna  ci troviamo a discutere di disegni di legge a partire dal A.C.1230 che  prevedono l’istituzione di un’ora curricolare di una disciplina variamente definita ( di genere, educazione sentimentale etc) per rendere  operante l’applicazione del comma 16 della legge 107, che a sua volta  riprende il dettato della legge 119 del 2013, più nota come legge sul femminicidio.

 

 

Il Coordinamento Genitori Democratici riconosce la necessità dell’istituzione di un’ora dedicata per le seguenti ragioni:

  • Si rende operativo un dettato legislativo che è stato spesso disatteso e fonte di resistenze nonostante i vincoli di legge e le “pubblicande” Linee Guida del MIUR ( evidentemente intese solo come una generica sollecitazione). Abbiamo tuti sotto gli occhi la dolorosa parabola storica dell’educazione alla legalità/cittadinanza che hanno di fatto distrutto l’insegnamento dell’Educazione Civica del 1958.
  • Si riporta tale disciplina nell’ambito degli insegnamenti curricolari senza affidamenti ad  eventuali agenzie esterne. Sarà il legislatore a risolvere i tecnicismi conseguenti a quest’istituzione ( a quali cattedre attribuirla, come difenderne la trasversalità, quali i criteri di valutazione)

 

Si aprono però due importanti scenari: la FORMAZIONE dei docenti e la RELAZIONE con le famiglie.

Per quanto attiene al primo punto affermiamo la necessità di indicare esplicitamente nelle forme che si stanno individuando nel reclutamento dei nuovi docenti italiani (concorsi, tirocini formativi etc) l’accertamento delle competenze in tal senso; per i docenti in servizio la chiara indicazione del MIUR di dedicare parte dell’aggiornamento obbligatorio  a percorsi formativi mirati.

Più complesso il secondo punto e cioè la relazione con le famiglie.

E’ per noi imprescindibile però fare prima delle precisazioni.

Intendiamo infatti ragionare della relazione con i genitori, dei luoghi della democrazia scolastica da non confondersi con la mediazione con un nuovo familismo.

Lo sgretolarsi dell’alleanza tra famiglie e scuola in una fase in cui si radica sempre più tra i genitori la convinzione che la scuola debba essere in continuità con la famiglia.

Che debba piegarsi e conformarsi a quel clima di morbide protezioni, indulgenze, complicità, assenza di regole e timore di farle rispettare che caratterizza in molte famiglie il rapporto tra genitori e figli. Mai come oggi ci sono state tante denunce a dirigenti scolastici e insegnanti per una bocciatura o per una sanzione.

Nel familismo dilagante dei nostri tempi infatti, si sta facendo sempre più debole l’idea che la scuola per sua natura e ruolo sia e debba essere un luogo educativo diverso da quello della famiglia. Non divergente o contrastante, ma diverso perché più aperto, più ricco, più plurale di quanto possa mai esserlo qualsiasi contesto familiare. Spazio pubblico oggettivamente inclusivo in cui si incontrano alla pari ragazzi di diverse condizioni sociali e culturali, sani e disabili, italiani e stranieri, cattolici e musulmani, capaci e meno capaci. Spazio plurale in cui si manifestano, senza la pretesa di prevalere, diverse opinioni, punti di vista, sensibilità culturali, scelte religiose.

Spazio di relazioni tra adulti e giovani, e di giovani tra loro, in cui far maturare consapevolezza civica, intelligenza e rispetto delle istituzioni, condivisione dei principi e delle regole della convivenza democratica, motivazioni alla partecipazione attiva alla vita della comunità, esperienze di solidarietà. Cultura, insomma, nel senso pieno del termine. È questo ruolo inclusivo, strategico per la democrazia, che oggi è intenzionalmente sotto attacco. Ma le risposte della politica saranno inevitabilmente deboli se non terranno conto e non contrasteranno i fenomeni di privatizzazione familistica che interessano anche la scuola.

La ricerca di tante famiglie di scuole senza stranieri, di aule senza disabili, di sezioni omogenee dal punto di vista sociale; e anche di tanti insegnanti che lasciano correre, che non vogliono vedere quello che non va, che per insipienza o indifferenza abdicano al loro ruolo e alle loro prerogative. Sono processi che vengono da lontano, ma da non sottovalutare perché ne vengono indeboliti il ruolo della scuola pubblica, la sua credibilità sociale, la sua autorevolezza.

Non si tratta pertanto di un processo di sottrazione (sottrazione della responsabilità familiare da parte della Scuola: abbiamo tutti ben chiaro l’articolo 30 della nostra Costituzione!) che ingenera difese e paure, ma della consapevolezza che sono molteplici le agenzie educative che intervengono nella formazione dei futuri cittadini e che la democrazia risiede proprio nel pluralismo.

I problemi educativi sono collocati in un contesto di frontiera e si deve oggi  lavorare sul confine, aperti all’influenza dell’alterità e pronti a rivedere le cornici della propria identità. Contrastando quindi il diffuso senso di insicurezza e di paura che respinge ognuno nel proprio individualismo, che ci fa vivere in un’eterna campagna elettorale.

Si pone pertanto, in attesa dell’auspicata riforma degli Organi Collegiali, una indispensabile campagna di informazione sul funzionamento degli stessi.

L’elaborazione del Piano dell’Offerta Formativa Triennale prevede anche la consultazione e la collaborazione dei genitori : è un diritto da esercitare insieme ai genitori eletti nei Consigli di istituto che tale Piano deliberano. Non esiste invece un diritto di “facoltatività” rispetto ad alcune discipline.

Né può essere accampato come giustificazione a richieste di esonero da discipline curricolari, l’art.2 della Convenzione Europea sulla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo quando afferma che “lo Stato, nell’ambito dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche”, che è vero solo fino a quando le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori non contraddicono le leggi dello Stato stesso.

In questa cornice di riflessione chiediamo ai legislatori di non eludere il problema perché apparentemente divisivo: l’emergenza educativa  ci chiede di intervenire in tempi rapidi.

 

 

 

ROMA, 15 settembre 2016

 

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