In ordine sparso stanno trapelando sul “Piano scuola” che il Governo dovrebbe approvare entro 15 giorni o forse entro luglio o forse entro l’estate, rilanciano idee –alcune decisamente vecchie, altre più nuove- che dovrebbero rivoluzionare la scuola.
Tra le ipotesi vecchie riappare il prolungamento dell’orario di apertura delle scuole, questa volta addirittura fino alle 22, luglio compreso. Con quali ragioni opporsi? Forse chiedendosi “per fare cosa?” Quante scuole dispongono di laboratori e attrezzature nonché di personale per trasformare la permanenza a scuola in un tempo utile e significativo? Inoltre non dimentichiamo le fin troppo disinvolte liquidazioni delle esperienze di tempo pieno o della pluralità dei modelli orari introdotti nella scuola primaria, dove la variabile tempo era inserita in un modello di scuola per molti versi innovativo.
Troviamo poi il prolungamento –si parla addirittura di raddoppio- dell’orario di servizio degli insegnanti. Sarebbe un orario tutto frontale, magari utilizzato per coprire le supplenze? E del resto quali risorse in termini di spazi e di strumenti offrono nella maggior parte dei casi le scuole a docenti che volessero svolgere compiti che siano un’emanazione della loro professionalità?
Si parla anche dell’introduzione di una differenziazione nelle prestazioni degli insegnanti da considerare come carriera senza scostarsi dalla logica dei premi e per di più gli eventuali aumenti di stipendio “per meriti particolari” passerebbero per la discrezionalità dei dirigenti.
Qui il discorso è complicato, dopo che siamo passati senza nessuna riflessione o valutazione attraverso esperienze di funzioni obiettivo, funzioni strumentali al POF e figure di sistema, accumulate in un generico guazzabuglio nobilitato dall’etichetta di middle management.
Un’ipotesi nuova e inquietante si profila sul versante della premialità applicata ai dirigenti, il cui stipendio potrebbe essere incrementato in rapporto ai risultati conseguiti dalle loro scuole e dunque dai loro insegnanti, fermi a livelli stipendiali assai poco europei e a rinnovi contrattuali più difficili di quanto sia lecito immaginare.
Non sappiamo quanto ci sia di vero in queste anticipazioni e soprattutto quale sia il tessuto connettivo in cui si inserirebbero questi sprazzi di riforma, a quale idea di scuola si faccia riferimento. Ci vediamo parecchi influssi di un economicismo tendente al risparmio e una volontà di coniugare l’innovazione con una situazione di sostanziale immobilità, cui non corrispondono né un’adeguata progettualità né l’impegno delle necessarie risorse.
Ma naturalmente cercheremo di capire meglio quando avremo notizie più sicure e allora saremo felicissimi di prendere atto che ci siamo sbagliati. Diversamente, ben vengano anticipazioni fantasiose, se sono destinate a rimanere tali.
(5 luglio 2014) Fnism Federazione Nazionale Insegnanti